Moavero (neuropsichiatra infantile): «Un intervento precoce, anche prima dell’inizio di sintomi evidenti, può portare un miglioramento notevole nell’outcome a lungo termine». Così la dottoressa a Sanità Informazione
La sclerosi tuberosa è una malattia genetica rara che colpisce un nuovo nato ogni 6.880, con manifestazioni e gravità diverse caso per caso. Gli organi più colpiti sono il sistema nervoso centrale, il cuore, i reni, cute, polmoni e occhi. I sintomi possono variare molto di soggetto in soggetto, motivo per cui è molto importante una attenta e precoce diagnosi.
Per questo, è fondamentale la formazione del professionista sanitario, il confronto e la discussione dei casi per una appropriata condivisione delle procedure migliori in un approccio olistico. Ce ne parla la dottoressa Romina Moavero, dipartimento neuropsichiatria infantile del Policlinico di Tor Vergata e neurologia pediatrica dell’ospedale Bambino Gesù.
Dottoressa Moavero, cos’è la sclerosi tuberosa e quali possibilità di trattamento efficace ci sono attualmente?
«È una malattia genetica autosomica dominante, ovvero il soggetto ha il 50% di possibilità di trasmetterla, ed è una patologia di interesse sistemico, interessa diversi organi e apparati ma sicuramente l’interessamento del sistema nervoso centrale è quello che causa l’impatto maggiore sulla qualità di vita. Fino a pochi anni fa il trattamento era solo sintomatico ossia si trattava ogni sintomo che compariva. Da qualche anno fortunatamente esiste una classe di farmaci, che sono gli inibitori mTor, che vanno ad agire specificamente sulla molecola che causa la maggior parte delle alterazioni osservate della sclerosi tuberosa e questo ci permette di avere un’azione su diverse manifestazioni con un unico farmaco. Inoltre, una somministrazione precoce di questo farmaco ha in realtà il potenziale di modificare la storia naturale della patologia quindi sicuramente, da un punto di vista di trattamento, ci sono stati dei cambiamenti molto importanti che ci stanno facendo affrontare la patologia in modo completamente diverso».
È importante agire presto: quanto precocemente?
«Il trattamento precoce è fondamentale per tutte le manifestazioni della sclerosi tuberosa e molto spesso è possibile perché ormai conosciamo bene l’evoluzione di questa malattia e siamo quindi in grado di cogliere molto precocemente i segni di evoluzione dei vari sintomi e lesioni. Se questo trattamento precoce è importante per le lesioni che tendono a mostrare una crescita, è sicuramente ancora più importante per le manifestazioni neurologiche e neuropsichiatriche perché un intervento precoce, anche prima dell’inizio di sintomi evidenti, può portare un miglioramento notevole nell’outcome a lungo termine quindi una minore epilessia farmaco resistente e anche un funzionamento neuro-cognitivo migliore».
Di solito come ci si accorge dell’insorgenza?
«La sclerosi tuberosa sempre più spesso viene diagnosticata anche in epoca prenatale con il riscontro alle normali ecografie ostetriche di lesioni cardiache tipiche che sono i rabdomiomi. Quando i rabdomiomi non sono presenti o non identificati così precocemente, ci possono essere delle piccole macchioline bianche sul corpo che compaiono sin dai primi mesi di vita e possono portare il pediatra a porre il sospetto diagnostico. Se nessuna di queste lesioni viene individuata, in realtà, molto spesso il primo sintomo rilevato è proprio quello delle crisi epilettiche».
Come per tutte le malattie rare, molto spesso poco conosciute e studiate, anche per questa malattia c’è ancora poco approfondimento e formazione. Pensa sia importante attivare maggiori occasioni di conoscenza e studio?
«Sì, sarebbe fondamentale. Ci sono, secondo me, due ordini di formazione da fare: quella dei medici e pediatri di base per una corretta gestione del soggetto che sa già di essere affetto ma che comunque deve convivere con una patologia cronica. Sicuramente però è cruciale la formazione ad una mirata diagnosi precoce. Le figure fondamentali sono i ginecologi, che si occupano della diagnostica prenatale mediante ecografia, e i pediatri di base, che possono rilevare delle macchioline sulla pelle. Ovviamente, con l’avanzare del tempo, ci possono essere altri segni: la comparsa di lesioni renali, che possono portare a questo sospetto, ma ovviamente l’attenzione maggiore deve essere posta in epoca prenatale e nei primi mesi di vita».