Alla presentazione del IV Rapporto MonitoRare, il Presidente di Uniamo Fimr Onlus Tommasina Iorno rileva gli obiettivi raggiunti sul fronte delle malattie rare e i punti critici emersi dal documento
Il Rapporto MonitoRare sulla condizione delle persone con malattia rara in Italia, realizzato dalla Federazione Italiana Uniamo Fimr Onlus e presentato alla Camera dei Deputati, offre un quadro generale ricco di novità. Tanti i miglioramenti degni di nota: i progressi riguardo i farmaci, l’evoluzione della ricerca e le implementazioni a livello tecnologico consentono di diagnosticare precocemente le malattie. Importanti passi avanti sono stati fatti grazie alla legge 167/2017 – che ha esteso all’intero territorio nazionale lo screening neonatale allargato a più di 40 patologie metaboliche ereditarie – all’aumento dello spazio dedicato alle patologie rare nei nuovi LEA e all’inserimento delle reti regionali e i relativi registri delle malattie rare (RRMR). Rimangono ancora alcune criticità rappresentate, soprattutto, dalle disomogeneità territoriali nell’accesso ai servizi sanitari per i pazienti affetti da malattie rare. Di tutto questo abbiamo parlato con Tommasina Iorno, Presidente di Uniamo.
Presidente, qual è lo stato dell’arte e della ricerca sulle malattie rare?
«Lo scenario delle malattie rare, a distanza di vent’anni dal regolamento europeo, si è andato via via sempre più articolando, con l’implementazione di dati importanti e interessanti per noi sia dal punto di vista dello sviluppo dei farmaci orfani sia anche da un punto di vista della registrazione dei casi dei pazienti. Oggi, arriviamo ragionevolmente ad avere un numero reale dei pazienti esistenti ed affetti da malattie rare. Questo ci conforta e ci conferma che il sistema sta funzionando bene. Dal punto di vista della ricerca, oltre allo sviluppo dei farmaci e all’introduzione di presidi e ausili che migliorano la qualità di vita dei pazienti, dobbiamo dire che ci sono state anche molte attivazioni dal punto di vista tecnologico: le nuove strumentazioni diagnostiche ci consentono oggigiorno di diagnosticare precocemente le malattie. La legge 167/2017 ha esteso a tutto il territorio nazionale lo screening neonatale allargato a 40 malattie metaboliche ereditarie. La diagnosi precoce e tempestiva permette di somministrare una terapia, se c’è, già nei primi giorni di vita del bambino che gli consente di avere una possibilità di vita differente: per lui, per i genitori caregiver, ma anche per il sistema sanitario non che subisce un aggravio di costi sanitari».
Quali sono gli obiettivi raggiunti e quelli ancora da raggiungere in termini di assistenza al paziente affetto da malattie rare a livello regionale e nazionale?
«Gli obiettivi raggiunti sono tanti: uno di questi è rappresentato dalle reti di riferimento europeo, un grande sforzo che si è fatto a livello europeo a cui l’Italia ha risposto molto bene presentando alla call europea tutta una serie di health-care provider che avevano le caratteristiche per entrare nelle reti europee di riferimento. Tutto questo è nato da una direttiva transfrontaliera che prevedeva la creazione di una rete di assistenza che consenta di non far viaggiare il paziente o di ridurre al minimo i cosiddetti “viaggi della speranza” e portare alla disseminazione dell’informazione e della conoscenza delle malattie rare. Lavorare anche a livello europeo su certe tematiche è importante perché ovviamente c’è un confronto diretto tra gli specialisti e con i pazienti. Gli altri obiettivi raggiunti fanno riferimento alla registrazione reale dei pazienti; siamo più vicini ad una stima del numero reale dei malati e quindi questo vuol dire che le registrazioni funzionano, che sono state implementate nel tempo e che quindi il sistema ha risposto positivamente. Su questo, c’era una specifica richiesta europea ma, soprattutto, che arrivava dal DM 279/2001 che aveva istituito i criteri per la creazione della Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle MR con i vari registri regionali e nazionali. Ciò su cui dobbiamo ancora lavorare soddisfare del tutto riguarda l’assistenza omogenea dal nord al sud e dal sud al nord delle isole. Sappiamo benissimo che, in termini di supporto e presa in carico dei pazienti le regioni non rispondono tutte allo stesso modo; per questo, è necessaria una sorta di benchmark dalle regioni virtuose a quelle meno virtuose perché non possiamo permetterci che l’Italia debba sempre viaggiare a diverse velocità. Questa purtroppo è una piccola criticità a cui noi abbiamo dato delle risposte istituendo uno sportello, un servizio di ascolto informazione e orientamento per i pazienti e stiamo raccogliendo casi a volte disperati in cui mancano i percorsi assistenziali. I malati, quindi, sono costretti a spostarsi da una regione all’altra e, quello che io temo, è che alcune regioni virtuose che rispondevano comunque alla diagnosi e alla presa in carico del paziente anche per i pazienti fuori regione stiano facendo un pochino di ostruzionismo e barriera e il paziente che si sposta si trova ad essere rifiutato anche dalle regioni virtuose. Questa è una cosa che mi preoccupa notevolmente: l’Italia deve permettere a tutti di avere un’uguaglianza di trattamento e non di avere pazienti di serie A e serie B e discriminati in base alla regione di appartenenza».