L’intervista a Antonella Celano, la Presidente dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare: «Più formazione per i medici e maggiore informazione per i pazienti»
Sono cinque milioni gli italiani colpiti da malattie reumatiche. Una percentuale importante che richiede l’attenzione del Sistema Sanitario Italiano. Con questo scopo, la Società Italiana di Reumatologia (Sir) propone la creazione di un Fondo nazionale in farmaci biologici in reumatologia, finanziato attraverso un aumento delle accise sulle sigarette. Inoltre, secondo la Sir, è urgente anche la creazione di una rete reumatologica in tutte le Regioni per assicurare sostegno ai malati reumatici.
Una malattia reumatica di cui si parla poco ma che rientra tra le malattie maggiormente invalidanti, è Spondilite Anchilosante (SA). In occasione della Campagna di sensibilizzazione sulla spondilite anchilosante ‘SAi che?’ organizzata da Novartis con il patrocinio di Apmar Onlus (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare), Sanità Informazione ha fatto il punto con la Presidente Apmar, Antonella Celano, sulla SA e sulle malattie reumatiche in Italia.
La Spondilite Anchilosante è una malattia difficile da diagnosticare: quali sono i prevalenti sintomi con i quali si manifesta?
«La spondilite è una patologia che si manifesta in età giovane ed è difficile da diagnosticare perché i sintomi possono essere confondenti. La persona che non conosce questo tipo di patologie ed ha mal di schiena lo reputa un banale malessere, a chi non è capitato di sottovalutare alcuni segnali? Invece bisogna che il cittadino conosca i sintomi, ascolti i segnali che il corpo invia, per andare dal medico di famiglia ed eventualmente farsi indirizzare verso uno specialista. Una diagnosi precoce prevede anche una terapia precoce che sicuramente migliorerà il decorso della patologia. È importante fare informazione proprio perché patologie fino ad oggi sconosciute, abbiano anche loro la giusta visibilità per aiutare il cittadino a riconoscerle».
In riferimento all’importanza della diagnosi dei medici di base, ritiene che siano sufficientemente formati per andare incontro a determinate patologie?
«Ovviamente il medico dovrebbe essere preparato, il medico di famiglia deve essere pronto a sapere valutare differenti patologie, anche perché il cittadino si riferisce al medico di famiglia per qualunque sintomo. Anni fa la reumatologia non aveva grande dignità, nel senso che questa tipologia specifica di malattie andavano diagnosticate con esami complementari, quindi non tutti erano in grado di fronteggiare queste diagnosi. Oggi fortunatamente la reumatologia è una disciplina riconosciuta e quindi anche il medico di famiglia conosce questo tipo di patologie per fare un primo screening di indagini da poi inviare al reumatologo, allo specialista».
Per quanto riguarda i pazienti, qual è la presa in cura e l’informazione che viene fatta al paziente?
«E’ fondamentale che il paziente venga informato perché altrimenti cerca informazioni su Internet e incontra qualsiasi nozione certificata o no. Quindi è importante che il medico spenda qualche minuto durante la visita anche soltanto per informare il paziente. Poi subentrano ovviamente le associazioni di categoria, le associazioni dei pazienti, che forniscono informazioni anche grazie ai professionisti della cui collaborazione si avvalgono. Le associazioni insegnano al paziente a convivere con la patologia, ad affrontare i problemi quotidiani che la patologia provoca: noi abbiamo il nostro sito internet apmar.it, abbiamo un numero verde, una rivista trimestrale, abbiamo tutta una serie di strumenti informativi che aiutano il paziente a districarsi all’interno del mondo della cronicità, anche perché avere una patologia cronica significa scandire anche i tempi in maniera un pò diversa rispetto a una persona che vive senza una patologia di questo tipo. La malattia non deve impedire alla persona di vivere una vita normale, anzi forse è uno stimolo in più per vivere e vivere bene, per cimentarsi in questa lotta impari, perché una patologia tende sempre a sopraffare anche il buonumore. Bisogna che neppure il buonumore si perda. Quindi Apmar cerca di dare al paziente gli strumenti per convivere, vivendo bene, per non rinunciare a nulla, per continuare a vivere una vita di relazione, una vita lavorativa, una vita di famiglia, una vita sociale, normale, anche con una malattia cronica».