Il sondaggio anticipato in un convegno organizzato da OIS (Osservatorio Internazionale per la Salute Onlus) e Dandelion. «Come superare le barriere linguistiche e culturali? La soluzione può essere integrare le comunità straniere all’interno del SSN. Chi meglio di loro può “tradurre” la diversa percezione della malattia?»
Il fenomeno migratorio è ormai una realtà permanente con cui ci confrontiamo quotidianamente; nel relazionarci con persone immigrate o straniere però, incontriamo spesso ostacoli di vario tipo che influenzano il dialogo interculturale. Gli ostacoli alla comunicazione partono da diversità linguistiche, certo, ma non solo; si tratta, soprattutto, di differenze culturali che nascono da esperienze di vita molto diverse. Nel caso dei migranti, parliamo di eventi traumatici che provocano un forte disagio psicologico, ferite che portano con sé all’arrivo in un paese straniero.
Le difficoltà di comprensione e interazione si sviluppano anche in ambito sanitario, nel rapporto tra medici e pazienti immigrati, dove spesso, si creano incomprensioni a livello linguistico ma anche a causa di una percezione diversa della malattia. Marco Simonelli dell’Osservatorio Internazionale per la Salute Onlus, ha analizzato i risultati più interessanti emersi da un sondaggio che ha indagato le relazioni tra professionisti sanitari e stranieri ai microfoni di Sanità Informazione. «I dati che abbiamo registrato ci dicono che più del 90% dei medici e degli operatori sanitari hanno quotidiani contatti con persone che non sono di cultura italiana: migranti o stranieri residenti in Italia già da tempo – spiega -. Di questi, il 65% non percepisce il fenomeno migratorio come un problema, lo ritiene parte della propria normalità quotidiana e lavorativa. Solo una piccola parte, un 40%, lo considera una difficoltà in più».
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Nonostante questo, l’identità culturale – lingua, credenze religiose, princìpi e convinzioni – comporta una visione differente del concetto di salute e malattia che condiziona e complica inevitabilmente il rapporto tra medico e paziente straniero: «I professionisti sanitari hanno competenze mediche ma non hanno le conoscenze “sociali” per affrontare i problemi di una comunicazione di questo tipo: cultura e lingua diversa, ma soprattutto, credenze religiose, differente percezione della malattia. Ed è per questo che l’80% sostiene di avere bisogno di competenze specifiche per assistere e supportare pazienti stranieri – avverte -. La difficoltà esiste anche dal punto di vista eziologico, quando un migrante dice: “C’è un fuoco che mi brucia dentro” e un medico non sa a cosa si riferisca né come interpretare questa espressione. Anche con l’aiuto di un mediatore culturale, rimane il bisogno di creare un contatto tra la comunità che arriva e la comunità che ospita». Cosa si può fare per facilitare la comunicazione tra camici bianchi e immigrati o stranieri? Ecco la proposta di Marco Simonelli: «A Roma ci sono comunità di base di migranti molto forti – Bangladesh, Senegal – nessuno ha mai pensato di integrarle all’interno del sistema sanitario nazionale. Questa potrebbe essere una soluzione perché nessuno meglio di loro riuscirebbe a “tradurre” questo linguaggio in un messaggio chiaro e corretto sia sul piano linguistico che culturale. È questo il gap da colmare in Italia» conclude.
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