La ricetta del manager cresciuto con Formigoni ciellino doc: «Tamponi per anticipare i focolai e continuità assistenziale per gestire pazienti covid e cronici»
Più tamponi e collaborazione tra medici di base e ospedalieri. Questa la ricetta del nuovo direttore della sanità lombarda, Marco Trivelli. Cinquantasei anni, ciellino doc, da poco più di un mese ha preso in mano un comparto segnato dall’emergenza Covid e ha tutta l’intenzione di fare tesoro degli errori del passato per migliorare là dove ci sono state delle falle, in particolare sul territorio, senza abbassare la guardia perché il virus non è ancora vinto.
«Oggi stiamo utilizzando la diagnostica da laboratorio per cercare di anticipare i focolai – spiega Trivelli, raggiunto nel suo ufficio al secondo piano del quartier generale di Regione Lombardia, dove tra un impegno e l’altro ci racconta i primi 45 giorni di attività –. Nelle ultime settimane, utilizzando i tamponi in modo proattivo, abbiamo scoperto diverse zone di contagio – ammette – le ATS hanno il compito di andare sul territorio e, sulla base dei dati settimanali di casi positivi, di fare dei carotaggi con un numero variabile di tamponi: da cento fino anche a mille per area. In questo modo, stiamo riscontrando che il Sars-cov-2 ancora serpeggia nelle nostre strutture, nelle nostre aree, specialmente nei luoghi di lavoro e in alcuni siti. Questo ha permesso di spegnere sul nascere alcuni focolai potenzialmente pericolosi».
Cresciuto al fianco di Formigoni, il nuovo manager della Sanità lombarda ha le idee molto chiare sul modello da perseguire: «La seconda direzione è quella di favorire il rapporto tra medici di medicina generale e strutture ospedaliere perché è sul tipo di supporto clinico che si gioca il futuro della gestione dei pazienti Covid – prosegue Trivelli -. I medici di medicina generale devono essere protetti con i dispositivi di sicurezza, oggi non più difficile in quanto l’industria si è attrezzata per poter coprire il fabbisogno, ma soprattutto serve che i medici di medicina generale abbiamo gli strumenti per poter diagnosticare e seguire a domicilio i pazienti paucisintomatici».
«Questo sarà fatto – continua – con diversi metodi e tutti presuppongono il comune interesse e la convergenza dei vari attori sanitari che fanno questo sistema. Dalle esperienze maturate sul campo, abbiamo visto che i medici di medicina generale hanno necessità di essere supportati e di interagire con gli specialisti. Infatti, se questi sono capaci di seguire i pazienti in ospedale, hanno invece difficoltà a farlo fuori, pertanto occorre collaborazione. Se il messaggio arriva alla categoria, facciamo un grande passo in avanti. In fondo – evidenzia – è quanto già successo in ospedale durante l’emergenza Covid. Gli specialisti di branche diverse improvvisamente si sono trovati a cooperare perché ciascuno di loro aveva difficoltà a decodificare questa malattia in modo sufficiente, quindi è sopraggiunta la necessità di confrontarsi, dialogare, interagire fino a curare insieme. Ora che i pazienti sono stati dimessi, il medico di medicina generale e gli ospedalieri devono dialogare per garantire continuità di cura. È avvenuto per Covid, penso che possa avvenire anche in futuro. Soprattutto credo possa avvenire in generale nella sanità per tutte le malattie croniche» conclude.
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