Da un’indagine del Censis gli italiani preferiscono il medico di Medicina generale. «Il problema è che mentre i cittadini si fidano, le istituzioni no. Occorre dare più margine d’azione alla categoria, solo così migliorerà l’assistenza sul territorio» ribadisce il segretario della Federazione di Medicina generale
L’87% dei medici si fida del medico di famiglia e lo ritiene l’interlocutore più idoneo ad una salda alleanza terapeutica. È il risultato di un’indagine del Censis secondo cui il medico di medicina generale è il professionista sanitario preferito dagli italiani. A ribadire la centralità del medico di famiglia è Silvestro Scotti. Il Segretario nazionale FIMMG, in un’intervista a tu per tu con Sanità informazione in occasione del convegno per il 40 anni del SSN organizzato a Roma, racconta le sfide che la Federazione si prepara ad affrontare nel prossimo futuro.
In questi 40 anni di Servizio sanitario nazionale il medico di famiglia che obiettivi ha raggiunto?
«Dagli ultimi dati emersi da un’indagine Censis (richiesta dalla FNOMCeO) si rileva quasi un 90% di preferenza della figura del medico di famiglia da parte degli italiani. Credo che la maggior parte di questa percentuale sia formata da pazienti anziani e nelle persone affette da qualche cronicità. Ricordiamoci infatti che questo è un Paese che invecchia, quindi se oggi ci fosse un referendum, la medicina di famiglia vincerebbe a larga maggioranza come il soggetto su cui investire. È chiaro che questi soggetti partono dall’idea fiduciaria di garanzia dell’assistenza. Alla fiducia però deve essere data una disponibilità da parte del medico, di avere gli strumenti per soddisfare il paziente. Io credo che in tutti questi anni invece di dare strumenti alla medicina di famiglia siano stati sottratti. Parlo in particolare della prescrizione: i piani terapeutici sono secondo me un’aberrazione della capacità di dare cure ai cittadini, soprattutto se vanno oltre quello che è il loro mandato».
Può spiegarci cosa intende?
«Un piano terapeutico può essere determinante per la sicurezza delle cure, soprattutto quando si tratta di un farmaco innovativo, quindi io lo sperimento o lo provo all’interno di una realtà più ristretta per poi renderlo disponibile. Noi abbiamo piani terapeutici ormai da anni, ci sono farmaci che tra poco arriveranno alla scadenza dei brevetti e quindi usciranno dal piano terapeutico non perché si siano validati i dati sulla sicurezza, ma semplicemente perché si è fatto in modo tale da non farli uscire per mere ragioni economiche. Intanto in questa maniera non si permette al medico di famiglia di curare al meglio i propri cittadini. E si cerca di incidere su quella fiducia che però i cittadini ancora oggi riconoscono al massimo livello. Beh, qualcuno sta sbagliando qualcosa. Io credo che sia importante investire sulla medicina generale, nella capacità di aumentarne l’intensità assistenziale e quindi fare un vero triage all’area specialistica rendendola veramente di secondo e terzo livello. Credo sia fondamentale investire nella medicina di famiglia con un iniziale azione diagnostica, risolvere le liste d’attesa, risolverei anche l’accesso improvvido in ospedale. Il problema è che mentre i cittadini si fidano della medicina di famiglia, molti parti pubbliche si fidano di meno».
Capitolo vaccini e in particolare morbillo: non si è mai smesso di parlarne. Una proposta ministeriale va in una direzione di copertura maggiore anche per la fascia di età giovani-adulti che per adesso non era stata chiamata in causa. Qual è il ruolo del medico di famiglia su questo tema e secondo lei dovrebbe essere coinvolto di più?
«La massima diffusione di questa patologia c’è stata nell’ultimo periodo e riguarda personale sanitario e medico. Credo che l’intervento su questi soggetti, in sede di recupero vaccinale, rischia di aumentare perché più andremo avanti e più avremo le generazioni che hanno saltato questo tipo di vaccinazione peggiorando la condizione attuale. Ritengo che il ragionamento che si sta facendo a livello ministeriale sul coinvolgimento nella vaccinazione dei giovani adulti per il morbillo sia corretto. Quello che non trovo corretto è che si continui ad insistere anche in questo caso, su politiche in cui i centri di riferimento siano solo i centri vaccinali e non il proprio medico di famiglia. Per inciso, faccio riferimento a Napoli (visto che sono anche presidente OMCeO Napoli), lì l’unico centro vaccinale per adulti è a via Partenope, collocato in un punto irraggiungibile sia sul piano della logistica del trasporto, sia per il parcheggio; vorrei vedere quante persone s’imbarcano per fare prevenzione in un un percorso ad ostacoli. Non date la colpa ai medici di famiglia, io posso anche provare a convincere il mio paziente che sia necessario fare quella vaccinazione, ma se poi per farla deve andare lontanissimo e non può farla nel mio studio è chiaro che diventa più difficile».