Nel sud della provincia di Padova, Giovanni Guastella racconta come funziona l’organizzazione: «C’è una sede centrale aperta h12 e tanti ambulatori nei paesi più piccoli. Noi ci dividiamo tra queste realtà»
Anguillara veneta, Conselve, Terrassa padovana, Arre, Bovolenta, Bagnoli, Cartura. Siamo nel profondo sud del padovano, tra l’Adige e la città di Sant’Antonio, terra di piccoli borghi negli infiniti spazi della pianura padana veneta. In tutto non più di 30mila abitanti, con il centro di riferimento, Conselve, che ne conta circa 10mila. In questi piccoli centri emblema dell’Italia dei mille campanili c’è un sistema organizzativo della medicina del territorio che funziona.
È quello della medicina di gruppo integrata, cioè medici di famiglia che lavorano in forma associativa allo scopo di garantire al cittadino un servizio migliore e offrirgli la possibilità di rivolgersi a uno degli altri medici associati in caso di urgenza e in caso di assenza del proprio medico. Come funziona, lo racconta a Sanità Informazione il coordinatore di questo team di medici, Giovanni Guastella: «Il mio ambulatorio principale è ad Anguillara veneta, piccolo centro nel profondo sud del padovano. Dunque, la parte preponderante del mio lavoro si svolge ad Anguillara. L’altra parte a Conselve, dove c’è l’ambulatorio centrale: sono due centri distanti dieci chilometri. Opero assieme ad altri 12 colleghi, che coordino. Abbiamo del personale infermieristico e personale di studio: lo abbiamo distribuito sia negli ambulatori periferici che nella sede centrale aperta 12 ore al giorno, mentre gli ambulatori periferici sono aperti quando c’è il medico. Io faccio circa 23 ore settimanali di ambulatorio».
Il meccanismo della medicina di gruppo è semplice: l’ambulatorio centrale resta aperto tutti i giorni per 12 ore e si trova nel centro più grande del comprensorio. I medici per lo più vi lavorano a rotazione e si dividono con i centri minori, che così non restano scoperti: anche in questi paesi in giorni e orari prestabiliti c’è sempre un medico di riferimento presente. Un modello assai diverso rispetto a quello prospettato con la riforma delle Case di Comunità, dove invece si pensa di accentrare la presenza degli MMG e di altri professionisti sanitari in un’unica struttura, tendenzialmente in un centro di medie dimensioni.
«Questa modalità di lavoro significa la possibilità di dare dei servizi ai cittadini sul territorio – spiega Guastella -. Offriamo diversi servizi ai pazienti: ad esempio la gestione dei pazienti scoagulati con gli anticoagulanti orali che necessita di controlli frequenti nel tempo e che gestiamo anche a casa. Poi ci occupiamo della gestione delle varie patologie croniche. A noi della medicina di gruppo è permesso di avere del personale, fondamentale per avere l’apertura della sede h12 dove i cittadini del nostro territorio possono avere sempre dei servizi. Io sono ad Anguillara però ci sono tre colleghi che operano nel comune di Bagnoli e una parte di lavoro la svolgono a Conselve, altri colleghi hanno ambulatorio a Bovolenta e una parte sono nella sede centrale. C’è una collega che lavora ad Arre, una a Terrassa padovana e uno a Cartura. Sono questi i comuni che sono collegati con la sede centrale di Conselve».
Guastella è molto preoccupato per la riforma delle case di comunità prevista nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. «La Casa di comunità è il contrario di questo modello. Se io concentrassi tutto a Conselve, mi dica lei come farebbero i pazienti ottantenni che non possono muoversi ad andare da Anguillara, Bovolenta, Arre, Cartura al centro di riferimento. Non sarebbe possibile. Significa togliere dei servizi di prossimità ai cittadini, tornare indietro».
In una realtà diffusa come questa, la Casa di comunità equivarrebbe ad accentrare tutto lontano dai cittadini, perdere quella “prossimità” vitale in questi piccoli centri tanto per i cittadini che per i medici. La Casa di Comunità andrebbe sicuramente nei centri più grossi, e non è neanche detto che sia Conselve il centro che la ospiterà.
«La Casa di Comunità – insiste Guastella – così com’è stata pensata è adatta alle grandi città, ma per i centri minori sarebbe un disastro. Tantissimi anziani e persone con disabilità non potrebbero spostarsi in altri comuni per andare dal medico. Il paziente anziano che non può guidare la macchina avrebbe sempre bisogno di un familiare che lo accompagni, per cui si avrebbe un grosso impatto per la famiglia. La medicina di gruppo, al contrario, permette di coniugare una sede centrale aperta h12 con la capillarità nei piccoli centri».
Non bisogna dimenticare inoltre che gli ospedali più vicini non sono proprio a due passi: il punto di riferimento è Schiavonia (divenuto famoso dopo i primi casi Covid a febbraio 2020), oppure Rovigo per i comuni più a sud. Non lontanissimi, ma neanche dietro l’angolo.
«Con la medicina di gruppo ci sono solo vantaggi per i cittadini – aggiunge Guastella -. Se io fossi da solo non potrei offrire certi servizi, non potrei avere una certa organizzazione. Le forme organizzate della regione Veneto, per come sono state sviluppate, hanno questo tipo di organizzazione, perché in questa regione ci sono tanti piccoli comuni. Se avessimo dovuto fare una medicina di gruppo integrata in un’unica sede centrale senza la periferia, quest’ultima sarebbe rimasta sguarnita. Per noi e per i cittadini sarebbe stato inaccettabile. Riteniamo sia un modello vincente perché permette di avere un’organizzazione adeguata al servizio di tutta quella fetta di popolazione che non vive nei grandi centri. Noi abbiamo sempre creduto a questo modello e lo abbiamo adattato a questa realtà: con le Case di Comunità credo si farebbe un grosso errore. Il mondo non è tutto bianco e nero, ci sono le zone grigie, che sono una buona parte».
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