Il professore di Sociologia delle organizzazioni sanitarie contesta la riforma dell’assistenza sanitaria territoriale in atto e mette in guardia dal rischio privatizzazione: «L’obiettivo è quello di mandare in pensione il medico di medicina generale pubblico e di sostituirlo con delle agenzie private, tremo all’idea»
La riforma della medicina territoriale, contenuta nel cosiddetto DM71, è una ‘controriforma’ e apre la strada a una privatizzazione della medicina generale. È molto negativo il giudizio di Ivan Cavicchi, Professore di sociologia delle organizzazioni Sanitarie all’Università Tor Vergata di Roma, sulla riforma dell’assistenza sanitaria territoriale collegata al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A non convincere Cavicchi, in particolare, il nuovo assetto che avrà la medicina di famiglia: i MMG dovranno destinare 18 delle loro 38 ore settimanali di lavoro nelle Case di Comunità. Tutte novità contenute nel cosiddetto DM71.
«Non è una riforma ma una controriforma – sentenzia Cavicchi -. Quando penso alla riforma penso che vada riformato il medico di medicina generale ma in meglio, penso a farlo crescere, a farlo evolvere o a cancellare tutto ciò che ha impedito di avere una buona assistenza di base. Il DM71 è una controriforma perchè divide le cose in parti che non possono essere divise. Quando si mette il medico a fare 18 ore nelle case di comunità e 20 ore nei propri studi è come se tu spaccassi il medico a metà. Da studioso, significa dividere a metà le cure primarie. Per me queste non possono essere divise, vanno ridefinite, composte e rilanciate».
«Il processo di privatizzazione è cominciato nel 1999 con la riforma della Bindi e sta andando avanti: si è mangiato parecchio spazio pubblico, nessuno fa niente per arginare questo fenomeno. Ricordo che ancora esistono gli incentivi fiscali alle assicurazioni. Cioè, noi diamo gli incentivi fiscali al nostro competitor. Nel caso della medicina generale, non c’è solo il sospetto di una privatizzazione incombente, ma si tratta di una realtà. L’obiettivo è quello di mandare in pensione il medico di medicina generale pubblico e di sostituirlo con delle agenzie, con delle cooperative, con il mercato. Tremo all’idea, penso ai poveri malati. Un conto è avere il medico di medicina generale vero, un conto è essere curati da un’agenzia privata».
«La dipendenza ha degli inconvenienti. Sicuramente ha il vantaggio di essere più governabile dalle regioni. Il problema delle regioni è che non riescono a mettere le mani sulla convenzione. Però anche il rapporto di lavoro di dipendenza ha degli inconvenienti. Quando è stato creato il medico di medicina generale non è stata scelta la convenzione per caso: si aveva bisogno di un medico particolare, flessibile, capace di rapportarsi con il territorio, cosa che un metodo burocratico esclude. Anche pensando di passare tutti alla dipendenza questa dovrebbe essere ripensata».
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