Il progetto al policlinico Gemelli di Roma, Chieffo (psicologa): «Il cinema è uno strumento in grado di supportare le pazienti nel processo di elaborazione della malattia, facilitando la relazione tra la psiche e il corpo»
Le bambine ascoltano le favole, sognando il lieto fine. Le donne guardano i film d’amore, aspirando ad una vita serena ed emozionante. Non di rado ci si immedesima nei protagonisti, immaginando di poter vivere in prima persona quelle stesse esperienze. Un fantasticare che, in particolari momenti della vita, può addirittura lenire le sofferenze.
È quello che accade alla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCSS di Roma dove, grazie ad un innovativo progetto di medicina complementare, la “medicinematerapia”, il cinema diventa strumento di supporto psicologico per le donne affette da tumori ginecologici.
«Il cinema è un mezzo in grado di supportare le pazienti nel processo di elaborazione della malattia, facilitando la relazione tra la psiche e il corpo, spesso stravolto dalla malattia e dai cambiamenti che questa comporta sull’estetica e sulla femminilità», spiega la professoressa Daniela Chieffo, responsabile della UOS di Psicologia Clinica del Gemelli e docente di Psicologia Generale all’Università Cattolica, campus di Roma, autrice della ricerca con Marina Morra, MediCinema Manager presso MediCinema Italia Onlus.
«Trattandosi di donne che, nella maggior parte dei casi, hanno dovuto affrontare interventi chirurgici che hanno modificato il proprio aspetto, ci siamo concentrate sull’accettazione del corpo, in relazione sia al proprio sé, che al proprio partner», aggiunge Chieffo. La sperimentazione, iniziata con il coinvolgimento di 15 pazienti e il monitoraggio di un gruppo di caregiver e familiari, s’inserisce nell’ambito di una serie di nuovi studi sulla personalizzazione delle cure.
«I film selezionati – continua la psicologa – mostrano tutti aspetti positivi della vita, come la famiglia, l’amicizia, l’amore. Nessuno dei protagonisti è affetto da tumori o altre malattie: lo scopo non è di identificazione, ma di proiezione verso un futuro felice. Le pazienti oncologiche, guardando il film – dice l’esperta -, non devono rimuginare sulla loro attuale condizione patologica, ma progettare la loro reintegrazione nella vita di tutti i giorni, quando la malattia sarà superata».
Alle proiezioni dei film sono sempre associati momenti di condivisioni tra le pazienti, per esternare pensieri ed emozioni. Previste anche valutazioni psico-oncologiciche, i cui risultati finali saranno presentati in autunno. «Nonostante manchi un’elaborazione di dati totali e definitivi, posso affermare che il progetto è stato accolto con grande entusiasmo e che le donne coinvolte ne stanno traendo un evidente beneficio. Il gruppo è un potente strumento emotivo e cognitivo sia di lavoro che di apprendimento – racconta Chieffo – . Al suo interno si sviluppano la coesione, l’accettazione, l’universalizzazione delle emozioni, che permettono di scoprire che la sofferenza non è solo propria, ma può essere condivisa».
Le patologie tumorali femminili sono, dunque, malattie complesse: hanno un impatto evidente sul corpo, sulle relazioni sentimentali e sociali e sulla psiche. Ad essere colpita è l’essenza stessa dell’identità femminile e questo genera importanti conseguenze psico-sociali. «Per questo – conclude la psicologa – oltre alla cura della patologia stessa, è fondamentale prendersi cura del benessere psichico di queste pazienti anche con strumenti innovativi, come il cinema appunto, che le aiutino a recuperare una buona qualità di vita».
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