Siamo davvero invasi dai migranti? Chi viene nel nostro Paese ci ruba il lavoro? Sono dei privilegiati e hanno accesso a servizi preclusi, invece, agli italiani? Sono queste alcune delle domande a cui l’edizione 2020 de “Il Corriere della Salute di tutti”, la rivista di Sanità di Frontiera, intende dare una risposta
Siamo davvero invasi dai migranti? Chi viene nel nostro Paese ci ruba il lavoro? Sono dei privilegiati e hanno accesso a servizi preclusi, invece, agli italiani? Sono queste alcune delle domande a cui l’edizione 2020 de “Il Corriere della Salute migrante di tutti”, la rivista di Sanità di Frontiera, intende dare una risposta.
Sanità di Frontiera è un’associazione senza scopo di lucro, apolitica e aconfessionale, che realizza interventi nel settore delle diseguaglianze, del benessere psicofisico, dell’inclusione sociale e del rispetto dei diritti umani in Italia e all’estero. Il nuovo numero della rivista è stato presentato in diretta streaming il 18 dicembre, giornata internazionale dei diritti dei migranti.
Stando ai dati raccolti e diffusi da Sanità di Frontiera, il fenomeno migratorio risulta essere, da diversi anni, un elemento strutturale nel sistema politico-economico: 5.046.994 nel 2016; 5.144.440 nel 2017, 5.255.500 nel 2018 e 5.306.548 nel 2019. La popolazione straniera è aumentata negli ultimi cinque anni di 302.342 persone, mentre quella italiana, nello stesso periodo, è diminuita di 1.204.514. Tenendo conto del fatto che, in Italia, si ha un solo under 18 ogni 8 abitanti è semplice intuire che il Bel Paese tende allo spopolamento e all’invecchiamento. Si ha complessivamente una popolazione con una tendenza ad un’età media di over 65. Da questi semplici dati è già possibile smontare uno dei tanti luoghi comuni sul tema migratorio.
Secondo le stime dei demografi, l’Europa avrà bisogno di circa 3 milioni di lavoratori all’anno per i prossimi trent’anni. Dato il differenziale di reddito pro capite tra Europa e Africa (25mila dollari contro 2mila), ci saranno sempre, a sud del Mediterraneo, persone mosse dal desiderio di una vita migliore. Quindi il tema delle migrazioni non può che essere affrontato anche da un punto di vista economico.
Altra affermazione diffusa nella narrazione, talvolta dominante, del tema migratorio. Tenendo conto che quasi i due terzi degli occupati stranieri sono impiegati in mansioni operaie o manuali e solo 8 lavoratori stranieri su 100 ricoprono posizioni professionali qualificate, si potrebbe, in breve, già dichiarare di essere in presenza di una distorsione della realtà.
Nel 2019 i lavoratori non comunitari iscritti nelle varie gestioni dell’Inps, quindi contribuenti, sono complessivamente 2.363.224, di cui 2.013.551 dipendenti nel settore privato, domestico e agricolo e 349.673 autonomi. Rappresentano, quindi, oltre il 14% sul totale dei lavoratori in Italia.
Nelle pagine del nuovo Corriere si dimostra anche la permanenza dei lavoratori stranieri nella precarietà economica e giuridica, nonché la mancanza di mobilità sociale anche delle seconde generazioni. I lavoratori dipendenti stranieri hanno un reddito medio annuo di 13.733 euro, ovvero il 45% in meno rispetto ai dipendenti italiani che hanno un reddito medio di 24.984 euro. Entrando nel dettaglio si riscontra che i dipendenti stranieri, a parità di mansione, percepiscono un reddito medio annuo inferiore del 37,3% rispetto ai lavoratori italiani impiegati negli stessi comparti. Questo differenziale, ovviamente si ripercuote anche sull’aliquota media, che risulta essere del 19,1% per gli italiani e del 12,6% per gli stranieri. Tenendo conto che il reddito delle famiglie straniere è speso in consumi soggetti ad Iva per una quota del 90%, è possibile identificare il valore complessivo dell’imposta sui consumi, dai lavoratori stranieri, di oltre 3 miliardi di euro che, sommati alle entrate contributive, arrivano a garantire, nel 2019, un introito per le casse dello Stato di 26,6 miliardi di euro.
Se l’impatto dell’immigrazione in Italia rappresenta il 9,5% del PIL e gli immigrati apportano alle casse dello Stato una somma pari a 500 milioni di euro l’anno, si potrebbe affermare che non c’è molto spazio per la mistificazione della realtà a scopi puramente propagandistici.
Su questo impianto, arricchito da interviste ad esperti, a studiosi, a medici e ad operatori, si sviluppa la pubblicazione del magazine 2020 di Sanità di Frontiera Onlus. L’ultima parte, dedicata al tema della tratta delle donne, rimanda ad una riflessione sui diritti sociali, primo fra tutti il diritto alla salute. Ed è proprio questo il fil rouge della ricerca: la salute come diritto universale, senza frontiere, senza limiti, viene meno o è garantita anche ai più fragili?
«Voglio fare i complimenti ai collaboratori di Sanità di Frontiera per la qualità del fascicolo che stiamo presentando. Non solo per i contenuti e le personalità di spicco che vi hanno partecipato, ma anche per la qualità giornalistica. Il tema principale è che nei paesi, diciamo così, più “ricchi”, ovvero quelli verso i quali si indirizzano i flussi dei migranti e dei rifugiati, prevale una impostazione volta al controllo delle frontiere e non alla gestione del fenomeno. Parliamo di politiche del lavoro, politiche sociali, modalità di adattamento del nostro welfare alla necessità di integrare i migranti. Una politica di gestione del fenomeno è anche quella che produce i migliori effetti in termini di sicurezza. Uno degli aspetti più interessanti di questa analisi è che si esce per una volta dalla contrapposizione tra “buonismo”, chiamiamolo così, e impostazione rigorosa: è un dibattito ideologico che non ci interessa. Gestire il fenomeno vuol dire ridurre l’impatto che effettivamente c’è sui cittadini italiani da tanti punti di vista. Per questo è necessario rilanciare il carattere universalistico ed inclusivo del nostro Ssn, come evidenziato dalla pandemia. C’è esigenza di tornare sul territorio. I sistemi decentrati hanno retto meglio la sfida. Privato e pubblico devono collaborare, e per privato parlo anche di realtà come Sanità di Frontiera. Per fare un esempio, se l’unità mobile di Sanità di Frontiera intercetta un migrante con Covid, tutela di conseguenza anche gli italiani». Così Massimo D’Alema, Presidente di Sanità di Frontiera.
«Questa è un’iniziativa molto utile, preziosa, sia per la qualità del rapporto pubblicato che della qualità giornalistica. Ma c’è una ragione profonda per cui ogni cittadino che ha a cuore le sorti di questo paese debba gratitudine a Francesco Aureli, Direttore Generale di Sanità di Frontiera, e a tutti quelli che ci lavorano per il coraggio che hanno avuto. Solo la conoscenza può consentire di condividere le responsabilità per assumere le soluzioni a breve e lungo termine per affrontare questo fenomeno. Ha detto bene il Presidente D’Alema: il fenomeno va regolato. Ma non lo si può fare se non si conosce il problema in profondità. Solo conoscendo si può decidere e risolvere le questioni aperte. Voi, con questo prodotto, avete consentito a molti di conoscere il problema depurandolo delle false e strumentali assunzioni che sembrano essere diventate la verità». Così Gianni Letta, Presidente Advisory board di Sanità di Frontiera.
«Il messaggio che vogliamo trasmettere in parte è già stato emerso e spero che emerga ancora di più con la lettura di questa pubblicazione. Grazie all’egregio lavoro svolto da Maura Pisciarelli con tutti i colleghi di Sanità di Frontiera, la rivista contiene interviste e contributi molto interessanti, nonché opinioni di varie anime politiche di diversi colori, grazie alle quali abbiamo fatto un tentativo di combattere l’ “epidemia della disinformazione”. Lo abbiamo fatto cercando di uscire dal dibattito ideologico andando a vedere i dati reali, che riportiamo in questa pubblicazione. Dati che vengono dall’Istat, dall’Eurostat, dall’Ocse, e che ci dicono che se viene gestita nel migliore dei modi, l’immigrazione può essere un bene per tutti». Così Francesco Aureli, Direttore Generale Sanità di Frontiera.
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