L’ex allenatore e calciatore serbo è stato colpito da un sottogruppo di leucemia mieloide acuta che tende ad avere una prognosi molto negativa. Ha lottato per 3 anni e il suo medico del Sant’Orsola di Bologna, Francesca Bonifazi, lo ricorda con grande commozione
Aggressiva e resistente. La malattia che ha ucciso Sinisa Mihajlovic è la leucemia mieloide acuta. Più precisamente un particolare sottogruppo di leucemia mieloide acuta, che purtroppo tende ad avere una prognosi infausta. Con Mihajlovic non ha fatto eccezioni. L’ex allenatore del Bologna ha combattuto come un guerriero: dal 2019, l’anno in cui ha ricevuto la triste diagnosi, è stato sottoposto a diversi cicli di chemioterapia, poi al un trapianto di midollo che, inizialmente, sembrava aver funzionato. Ma a marzo scorso la brutta notizia: la malattia era ritornata e le cartucce da sparare erano ormai molto poche. Mihajlovic ha continuato a mostrare grande coraggio e determinazione. La terapia a cui è stato sottoposto è sperimentale, l’immunoterapia. Ma non è servita a salvargli la vita.
La malattia che ha ucciso Mihajlovic è la seconda leucemia più diffusa e si stima che in Italia colpisca ogni anno circa 2.100 persone. È una patologia estremamente aggressiva che colpisce con maggior probabilità gli uomini sopra i 60 anni, sebbene possa insorgere anche nei bambini. A oggi la terapia più efficace per molti pazienti è il trapianto di midollo da donatore. Purtroppo però, in circa la metà dei pazienti con leucemia mieloide acuta, il tumore si ripresenta a distanza di tempo e questa volta non è più riconoscibile dai linfociti trapiantati che prima erano in grado di attaccarlo. La ricerca ha già individuato alcuni meccanismi che portano al fallimento del trapianto di midollo, ma c’è ancora molta strada da fare.
«Negli ultimi anni abbiamo fatto importantissimi progressi nel trattamento di molte forme di leucemia, ma purtroppo ci sono ancora alcuni sottogruppi, come quello che ha colpito il calciatore, su cui abbiamo bisogno di fare più ricerca», spiega Robin Foà, ematologo di fama mondiale dell’Università Sapienza di Roma e ricercatore di punta della Fondazione AIRC. «Un sottogruppo di leucemia mieloide acuta, ad esempio, risponde molto bene a una terapia mirata – continua – tanto che non c’è più bisogno della chemioterapia. Purtroppo, continuano a esserci casi difficili da trattare, che rispondono poco alle terapie che abbiamo a disposizione». La malattia di Mihajlovic fa parte proprio di questo sottogruppo «sfortunato».
Mihajlovic rimane comunque un grande esempio di forza e coraggio, come ricorda Francesca Bonifazi, medico del Sant’Orsola di Bologna che gli è sempre stata a fianco. «E’ stato un guerriero che ha lottato fino alla fine», racconta. «Ha avuto il coraggio di affrontare la vita che amava sopra ogni cosa, nonostante una malattia che non conosceva. Si è affidato ai medici – continua Bonifazi – e ha avuto il coraggio di lottare». Un esempio per chi come lui sta combattendo contro questa malattia. «Sinisa ha dato molto coraggio anche agli altri pazienti – ricorda Bonifazi – che hanno provato un senso di comunanza nel vedere come ha affrontato la malattia e anche la recidiva». L’ex calciatore serbo «era una persona con valori molto profondi. Non ha amato solo il calcio, che è stato il suo brodo primordiale, ma anche la sua famiglia che lo ha sempre sostenuto in modo coerente e costante».
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