Il cantautore ha partecipato alla rassegna “Note sul tetto che scotta”. «È dimostrato, anche empiricamente da me stesso, che la musicoterapia è preziosa. Io se ho Bach o Mozart in cuffia uso metà dell’anestesia locale dal dentista», afferma a Sanità Informazione
Ascoltare musica dal vivo in un ambiente sereno per rendere la degenza in ospedale più tollerabile: è questo l’intento della musicoterapia che l’istituto nazionale dei tumori di Milano propone dal 21 maggio al 16 luglio con la quarta edizione della rassegna di musica jazz, pop e rock “Note sul tetto che scotta”. Una musica che cura anima e corpo e che ieri sera ha visto protagonista Eugenio Finardi.
«Prima di tutto devo dire che a questo istituto devo moltissimo, perché anni fa mia moglie è stata salvata; l’hanno seguita con grande affetto e quindi sento un legame stretto personale. Oggi sono qui a restituire, a fare quello che secondo me tutti dovrebbero fare: donare una parte del proprio lavoro, delle proprie capacità, alla città, alla società, al Paese».
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Quanto per una persona che sta poco bene, l’aiuto della musica è fondamentale?
«È dimostrato, anche empiricamente da me stesso, che la musicoterapia è preziosa. Io se ho Bach o Mozart in cuffia uso metà dell’anestesia locale dal dentista, quindi penso che la musica sia un contatto con l’assoluto, l’universale, le leggi della musica sono le leggi della fisica, ci avvicinano all’assoluto e ci distaccano dal nostro costante relativo».
C’è una canzone a cui è particolarmente affezionato e che vuole dedicare ai pazienti che sono qui ad ascoltarla?
«Sì, ‘Amore diverso’, la canzone con cui chiuderò il concerto».