Alla corsa vinta dal transalpino Julian Alaphilippe tutti i ciclisti affetti da diabete tipo 1 della squadra danese. Il medico Mario Pasquali: «Anche chi non è un professionista e fa esercizio fisico per diletto e per passione non deve aver paura di cimentarsi nelle varie discipline come il ciclismo»
Correre per cambiare il diabete. È quanto hanno fatto gli atleti del Team Novo Nordisk, alla Milano-Sanremo, vinta poi dal francese Julian Alaphilippe. La squadra danese, composta esclusivamente da corridori affetti da diabete di tipo uno, ha voluto sensibilizzare il grande pubblico nei confronti di una malattia che al mondo colpisce 425 milioni di persone di cui 3 milioni solo in Italia. Un messaggio di speranza per educare ed incoraggiare tutti coloro che convivono con il diabete. «Una volta stabilizzata la condizione clinica del paziente e ottimizzate le terapie con il diabetologo di riferimento, i ragazzi vengono trattati sia dai preparatori atletici che dai medici di squadra in maniera normale, come gli atleti degli altri team professionistici, – spiega Mario Pasquali, medico del Team Novo Nordisk – anche chi non è un professionista e fa esercizio fisico per diletto e per passione non deve aver paura di cimentarsi nelle varie discipline come il ciclismo».
Dottore, a livello medico come vengono trattati questi atleti?
«A base di insulina perché sono tutti atleti affetti da diabete di tipo 1, quindi insulina dipendente. Una volta seguite queste terapie dal diabetologo, nei loro paesi di origine, non devono fare altro che monitorare la glicemia ed ottimizzare le loro fisiologiche curve glicemiche durante l’arco della giornata».
Lo sforzo fisico ha relazione con il diabete?
«Non ha grosse influenze, anzi c’è un’ottimizzazione del consumo di glucosio a livello muscolare e questo porta ad un miglioramento delle condizioni cliniche dei soggetti affetti da diabete di tipo 1, ricordiamo che questi ragazzi hanno una esenzione ad uso terapeutico per quanto riguarda il diabete di tipo 1, per loro l’insulina non è un vantaggio, ma una necessità per sopravvivere perché il loro pancreas non la produce, e questa è l’unica condizione extra rispetto ad un atleta non affetto da diabete di tipo 1».
Tra i protagonisti della Milano Sanremo 2019 anche due italiani del Team Novo Nordisk: Andrea Peron ed Umberto Poli, bravi e coraggiosi nel mettersi in mostra entrando nella fuga a dieci di giornata. Un successo che ha un significato agonistico, ma anche sociale.
Andrea Peron classe 1988 è uno degli sprinter della Novo Nordisk che ha scoperto di essere affetto da diabete all’età di sedici anni.
«Io praticavo già ciclismo prima della diagnosi – racconta – e quando mi è stato diagnosticato il diabete ho continuato a praticare il ciclismo nelle categorie giovanili e poi nel 2013 ho avuto l’opportunità di diventare professionista con questo Team».
Il fatto di avere il diabete cosa comporta per un atleta professionista?
«Devi essere molto cosciente dei segnali che dà il fisico, non bisogna commettere errori e cercare di avere il miglior controllo possibile».
Quali sono stati i sintomi che ti hanno spinto a fare delle indagini e scoprire di avere il diabete a sedici anni?
«Da un mese non stavo bene, non ero al cento per cento, non ero il solito, avevo spesso mal di testa e la vista iniziava a calare, classici sintomi da diabete».
Umberto Poli, veronese classe 1996 è stato uno dei protagonisti della fuga a dieci con Andrea Peron e altri due compagni di squadra, Joonas Henttala, Charles Planet, ma ha anche portato a termine la gara di 291 km, un risultato che ha un significato importante.
«Il mio successo dimostra che con il diabete si può fare ciò che si vuole – dice con orgoglio Umberto – siamo qui a lottare per dire a tutti che anche con il diabete si può arrivare al traguardo».
Quale è la sfida che hai vinto che ti ha reso più orgoglioso?
«Appena scoperto il diabete tutti i medici mi dissero che avrei potuto fare sport, ma non a livello agonistico. Invece io essendo una testa dura, ho continuato e alla fine sono riuscito ad essere qui oggi e questo credo sia uno dei più grandi successi».