Uno studio internazionale, guidato dal Cardiocenter De Gasperis di Niguarda, con la partecipazione di Regione Lombardia e Ministero della Salute dirà se il cortisone può essere la cura per le miocarditi virali. I primi dati saranno presentati al 56° Convegno nazionale di Cardiologia in programma a Milano tra il 19 e il 22 settembre
Curare le miocarditi con il cortisone: è questa la sfida lanciata dal Cardio Center De Gasperis di Niguarda nel dopo Covid. Il virus che in diversi casi ha lasciato in eredità una infiammazione del muscolo cardiaco ha spinto molti scienziati a cercare nuove cure. Uno studio internazionale (MYTHS) multicentrico guidato dal professor Enrico Ammirati, cardiologo e ricercatore di fama internazionale, si è concentrato sul cortisone come terapia per trattare proprio le miocarditi virali.
Partito a fine 2021, lo studio durerà 24 mesi e coinvolgerà soggetti di età compresa tra i 18 e i 69 anni di diverse parti del mondo. «Abbiamo vinto un bando ministeriale con la partecipazione di Regione Lombardia e di istituti internazionali europei e nord americani che si è dedicato ad un ambito specifico: lo studio della miocardite, un’infiammazione del muscolo cardiaco per la quale non esistono oggi dei farmaci specifici ed è anche uno degli effetti del long covid», spiega Fabrizio Oliva, cardiologo del Cardio Center Niguarda e direttore del Convegno nazionale che si terrà il prossimo mese a Milano e che è promosso dalla fondazione De Gasperis.
«Può insorgere a due settimane da una qualsiasi infezione virale – specifica -. E nel 75% dei casi ha un decorso favorevole, ma nel restante 25% si verifica una compromissione del muscolo cardiaco con disfunzione della pompa e nel restante dieci percento dei casi c’è un aggravamento importante che può portare al decesso. Questo studio mira a trovare una soluzione per quel 10 percento».
Oggi non esistono farmaci specifici in grado di guarire la miocardite, di solito si utilizzano farmaci cardiologici fino ad arrivare a supporti meccanici nei casi acuti. «Da molti anni è in dubbio il possibile trattamento con farmaci steroidi – racconta Oliva -. Questo studio cerca di dare delle risposte ai pazienti con una disfunzione importante della pompa cardiaca e una situazione di rischio. Entro le 72 ore dall’accesso in ospedale, ad un gruppo viene dato il cortisone per tre giorni, un secondo gruppo invece viene trattato con un placebo, dopodiché si valuta a distanza una serie di elementi: ospedalizzazione, sopravvivenza, necessità di trapianto o di innesto di un device meccanico».
Tra i soggetti analizzati ci sono anche giovani colpiti da miocardite dopo la somministrazione del vaccino. «Tenendo presente che nello studio entrano i casi di miocardite complicata, devo dire che pochi riguardano chi ha avuto effetti avversi da vaccino – ammette il cardiologo del Cardio Center -, anche perché non sempre l’infiammazione cardiaca è riferibile al siero inoculato, si può ipotizzare, ma possono esserci diverse concause. Fondamentale in questo studio è il follow up, dove si analizzano dati clinici e strumentali con valutazioni ecocardiografiche e con risonanza magnetica a distanza di tempo. Per quanto riguarda le miocarditi da vaccino si tratta comunque di un aspetto minoritario che non va ad intaccare la validità della vaccinazione».
Al 56° convegno nazionale importanti novità per la cura delle malattie cardiovascolari
I primi dati preliminari di questo studio saranno presentati al 56° convegno nazionale di Cardiologia di Milano che si terrà dal 19 al 22 settembre presso il centro congressi di Milanofiori ad Assago. «Sarà un’occasione importante – prosegue Oliva – dopo due anni di pandemia per la prima volta oltre 1000 cardiologi si confronteranno, in presenza, con le novità e le conoscenze maturate negli ultimi 24 mesi».
Tra i temi che verranno trattati la interazione tra clinici ed esperti di imaging, gli aspetti innovativi del trattamento delle patologie valvolari, il trattamento invasivo delle aritmie, il ruolo sempre più rilevante della genetica e il rapporto tra diabete e malattie cardiovascolari. «Nella ripartenza post pandemica fondamentale è l’interazione tra scienza e organizzazione – puntualizza –. Oggi ci sono elementi innovativi in ambito farmacologico con trattamenti che riguardano sia diabete che malattie cardiovascolari che spesso sono collegate. Ci sono poi delle novità anche per la cura di un altro fattore di rischio estremamente importante come l’ipercolesterolemia quindi sulle dislipidemie, così come per il trattamento percutaneo nelle patologie valvolari e anche nelle malattie coronariche complesse, esecuzione di angioplastiche e di stent anche in vasi che hanno caratteristiche anatomiche di grande difficoltà. Un altro aspetto che affronteremo è dello choc cardiogeno per il quale abbiamo uno studio in corso, una patologia che è minoritaria dal punto di vista epidemiologico ma è sempre gravata da una drammaticità diagnostica perché nel 60% dei pazienti c’è una mortalità ospedaliera; quindi, noi sottolineeremo come poter fare un inquadramento e agire rapidamente possa cambiare la prognosi. Un altro aspetto che analizzeremo è l’importanza dell’attività fisica per il cardiopatico. In passato si riteneva che dovesse essere messo a riposo, invece un esercizio regolare, oltre a prevenire le malattie cardiache, previene la recidiva e quindi è importante calcolare il rischio del paziente cardiopatico e poi adattare lo sforzo fisico alla malattia».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato