Il Presidente del sindacato nazionale autonomo ha scritto al ministro Speranza per lamentare la mancanza di attenzione verso il settore. Dubbi anche sulle figure dell’infermiere e dello psicologo di famiglia
«La medicina generale è sotto attacco, da dieci anni non c’è un’idea per sviluppare questo settore». Angelo Testa, Presidente dello Snami (Sindacato nazionale autonomo) ha preso carta e penna e ha scritto al ministro della Salute Roberto Speranza per manifestare tutta la sua insoddisfazione per le politiche rivolte alla medicina di famiglia: lamenta in primis una carenza di investimenti e poi contesta le figure dell’infermiere e dello psicologo di famiglia, almeno per come sono state pensate. «Queste due figure, se sono pensate come una alternativa o un qualcosa che si inserisce nel lavoro della medicina generale, non ci piace» sottolinea testa a Sanità informazione. «Ci troviamo adesso in condizioni a volte di serie difficoltà con ospedali che hanno chiuso, diminuzione dei posti letto, strutture intermedie come le residenze sanitarie assistite che ci sono e non ci sono. Tutto un insieme di cose che va ripensate» sostiene Testa che non esulta per la firma della preintesa dell’Accordo collettivo nazionale: «Dieci anni di soldi nostri fermi lì non è che ci soddisfa, siamo arrabbiati perché ce li dovevano dare molto prima. Ora in parte ce li hanno già dati e in parte ce li daranno con l’ultimo accordo. Noi siamo ancora legati a una legge, la legge Balduzzi, che noi come Snami abbiamo attaccato fin dall’inizio. Quella legge è inadeguata, ha portato allo stallo perché ancora oggi non abbiamo un contratto. Finchè dovremo ragionare con quella legge è difficile fare un contratto soddisfacente a meno che lo Stato non superi quella legge con degli investimenti».
Presidente, perché sostiene che la medicina generale è sotto attacco?
«È sotto attacco perché non si vede un profilo che possa permettere uno sviluppo della medicina generale. Nel senso che si parla sempre di medicina generale come perno del sistema ma poi, a parte le parole, da dieci anni non riusciamo a vedere un’idea che possa svilupparla, rafforzarla e che possa mantenerla sul territorio: ha bisogno di investimenti perché così non può farcela. Servono investimenti economici e umani, nel senso che c’è un calo di medici adesso con due decreti del passato governo si è tamponata un po’ la falla ma non è che la questione si risolve con decreti d’urgenza che fanno entrare medici durante la formazione. Fondamentalmente sono toppe che spesso fanno peggio del buco. Poi servono investimenti economici perché la medicina generale deve occuparsi di cose di cui prima si occupava di meno nel senso che gli anziani aumentano: se aumenta il lavoro e non ho investimenti maggiori non riesco a sopportare l’aumento del lavoro. Ci troviamo adesso in condizioni a volte di serie difficoltà con ospedali che hanno chiuso, diminuzione dei posti letto, strutture intermedie come le residenze sanitarie assistite che ci sono e non ci sono. Tutto un insieme di cose che va ripensate».
Nella lettera indirizzata al ministro Speranza lei contesta i modelli di Veneto, Lombardia e Lazio. Perché?
«Non contesto i modelli, contesto l’idea dello spostamento sul privato. Da questi modelli esce fuori che c’è un tentativo, anche se nascosto, di portare dal pubblico al privato l’assistenza territoriale che da sempre in Italia è pubblica, è rivolta a tutti, disponibile per tutti. Portandola fuori, nel privato, andiamo verso un modello assicurativo e ci saranno delle medicine di serie A, B, C…».
Poi ha fatto riferimento all’infermiere e allo psicologo di famiglia. Come le vede queste due ‘integrazioni’ del medico di famiglia?
«Se sono ‘integrazioni’ le vedo bene, ma se sono ‘invasioni di campo’, non vanno bene. Queste due figure se sono pensate come una alternativa o un qualcosa che si inserisce nel lavoro della medicina generale non ci piace. Lo psicologo obiettivamente non ne vedo l’utilità nella medicina generale. Nel senso che se gli psicologi hanno la necessità di aumentare i loro posti chiedano alla medicina specialistica che li può tranquillamente assorbire e quando la medicina generale ha bisogno dello psicologo lo trova, mentre adesso non si trova. Non si capisce perché deve diventare lo psicologo di famiglia, mentre è il medico di famiglia che poi indirizza allo psicologo i pazienti che ne hanno bisogno. Qui è proprio sbagliata la collocazione che ne è stata data. Diverso è l’infermiere di famiglia: l’infermiere è una figura con cui noi collaboriamo da sempre sia con il nostro personale dipendente sia con il personale delle Asl. Infermiere di famiglia bisogna capire bene cosa vuol dire, perché quando parlano gli infermieri io ho un po’ di confusione, sembra quasi che vogliano fare il medico, il piccolo medico di famiglia. Allora a quel punto mi vien da dire: vuoi fare il medico, benissimo: ti iscrivi a medicina, fai 6 anni, 3 anni di formazione, fai il concorso e diventi medico di famiglia. Non scegli la scorciatoia perché se sei infermiere non sei medico. Quindi questo tentativo di diventare medici facendo gli infermieri non va bene. L’infermiere deve fare il suo lavoro che è un lavoro importante, una figura fondamentale per la medicina generale, noi vogliamo lavorare con loro, vogliamo che l’infermiere sia con noi ma l’infermiere cambiare il target del suo obiettivo».
È stata firmata da poco la preintesa dell’ACN di medicina generale. Vi soddisfa? Cosa vi aspettate nelle trattative che vi aspettano per concludere l’accordo?
«È un atto dovuto, sono soldi nostri che ci hanno dato. Non ci è stato fatto un regalo. Noi abbiamo, a differenza dei medici dipendenti, abbiamo una vacanza contrattuale, la quota che lo Stato decide di arretrato ai dipendenti viene messa in busta paga anno per anno. A noi rimane ferma fino alla firma di un contratto. Ora, dieci anni di soldi nostri fermi lì non è che ci soddisfa, siamo arrabbiati perché ce li dovevano dare molto prima. Ora in parte ce li hanno già dati e in parte ce li daranno con l’ultimo accordo. Sul resto vediamo. Noi siamo ancora legati a una legge, la legge Balduzzi, che noi come Snami abbiamo attaccato fin dall’inizio mentre altri sindacati vedevano come la panacea di tutti i mali. Quella legge è una legge inadeguata che avrebbe portato allo stallo e infatti ha portato allo stallo perché ancora oggi non abbiamo un contratto. Finchè dovremo ragionare con quella legge è difficile fare un contratto soddisfacente a meno che lo Stato non superi quella legge con degli investimenti, con delle proposte: noi abbiamo bisogno di curare i cronici e di avere la possibilità di farlo. Noi lo facciamo già ma dovremmo farlo in modo sistematico. Solo così si potrà togliere dall’ospedale quella parte che si può togliere e liberare gli specialisti per fare lo specialista e non creare liste di attesa inutile. Spesso gli specialisti mantengono la loro attività ambulatoriale con visite che tranquillamente potremmo gestire noi ma che noi non riusciamo a gestire per limiti di tempo e di struttura: non voglio polemizzare, ma a loro fa comodo quello che va e gli dicono ‘tutto bene continua così’. Invece dovrebbero impegnarsi nei casi complicati essendo specialisti. Quindi ci troviamo con il paziente complicato che deve attendere. Bisogna rimettere le mani a questo sistema. Se lo Stato lo vuole fare noi siamo pronti, abbiamo già una nostra piattaforma».