Con il direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito, parliamo di vaccini e anticorpi monoclonali. L’immunità di gregge arriverà? Quel che è certo è che non sarà il Covid a sparire, ma si trasformerà probabilmente in un “normale” raffreddore
Sono quasi 3 milioni le persone che in Italia hanno ricevuto la prima dose di uno dei vaccini approvati dall’Ema. I primi dati pubblicati dalla Fondazione Gimbe sulla fascia dei professionisti sanitari, che hanno per larga parte completato il ciclo, delineano una riduzione dei contagi del 64%. A dimostrazione che i vaccini stanno funzionando. Eppure, l’Italia è tornata a colorarsi di rosso questa settimana. Con l’arrivo della variante inglese e brasiliana, alcuni comuni sono stati chiusi in Toscana, Abruzzo e Umbria.
Il 2021, che doveva iniziare finalmente con un trionfo sul virus, sembra avanzare più lento di quanto ci si aspettasse. I più scettici dicono che anche quest’anno sarà dominato per intero dalla pandemia. Sanità Informazione si è rivolta a uno dei protagonisti della situazione italiana, per sciogliere alcuni nodi e dubbi che alimentano il dibattito quotidiano: il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma, che ha risposto alle nostre domande.
La campagna vaccinale in Italia procede, seppure a rilento rispetto alle tempistiche ipotizzate. Il nostro paese è il primo in Europa per numero di dosi somministrate e i risultati cominciano a mostrarsi proprio con gli operatori sanitari. In molte regioni è iniziata la vaccinazione degli over 80 e sta partendo, con il prodotto Oxford-AstraZeneca, quella che riguarderà insegnanti, militari, detenuti e personale carcerario. L’immunità di gregge è dunque possibile?
«Il piano vaccinale punta anzitutto a “mettere in sicurezza” le persone che, per età o condizioni mediche, sono a maggior rischio di contrarre la forma grave della malattia Covid-19 – spiega Ippolito -. Il discorso sull’immunità di gregge è più complesso e richiede maggiori dati e conoscenze su diverse variabili, come per esempio il livello di immunità dato da una precedente infezione o la possibilità di una reinfezione ad opera di varianti virali, e l’efficacia pratica del vaccino nella popolazione». Il professore ricorda inoltre che, per ora, sappiamo solo che i vaccini proteggono dalla malattia, ma non abbiamo dati circa la possibilità di trasportare l’infezione. «Serviranno risultati dalla vaccinazione di massa, anche da stati che sono più avanti di noi come Israele».
C’è da specificare che immunità di gregge non significa eliminazione totale del virus Sars-CoV-2. «Sino ad oggi – spiega Ippolito – l’uomo è riuscito ad eradicare un unico virus, quello del vaiolo. Direi quindi che lo scenario più probabile è che il genere umano e questo virus raggiungano una sorta di “armistizio”, che le infezioni causino sintomi sempre meno importanti grazie alla memoria immunitaria che ciascuno di noi si sarà costruito attraverso le vaccinazioni e le infezioni naturali, e che in definitiva questo virus diventi il quinto esponente dei coronavirus umani endemici che provocano semplici infreddature».
Per raggiungere questo obbiettivo sono in studio 300 candidati vaccinali, di cui 80 in fase clinica. «I vaccini a mRNA Pfizer e Moderna hanno mostrato una efficacia superiore (circa 95%) a quella con vettore virale non replicativo – analizza il direttore dello Spallanzani -. Gli studi clinici per questi ultimi danno livelli di efficacia che vanno da circa il 65% a circa il 92% del vaccino Gamaleya. AstraZeneca raggiunge un’efficacia fino all’82% con 2 dosi a distanza di 12 settimane. Il vaccino Johnson & Johnson con una dose singola ha un’efficacia fino al 72% dopo 28 giorni dalla vaccinazione ed il 2 dicembre 2020 l’Ema ha iniziato la valutazione continua del vaccino che sembra essere efficace anche contro la variante B.1.351».
Anche il vaccino italiano Reithera partecipa alla corsa, sviluppato dagli esperti dello Spallanzani. Ma quando potrà essere disponibile? «Stanno partendo le fasi 2-3 e, se tutto procederà in base alla tabella di marcia, alla fine dell’estate potremmo considerarlo». «È importante, anche in prospettiva futura, che l’Italia coltivi e potenzi una sua capacità di sviluppo di presidi terapeutici in grado di attivarsi rapidamente in caso di necessità», aggiunge.
Un trionfo per la ricerca italiana, per troppi anni relegata a pochi finanziamenti e ancor meno supporto. «C’è voluta una tragedia globale – commenta Ippolito – per far capire quanto siano importanti la scienza e la ricerca: speriamo che chi ci governa non dimentichi questa lezione, e l’obiettivo della comunità scientifica dovrebbe essere quello di fare fronte comune nel ricordare l’importanza di un investimento costante nella conoscenza, anche per creare nel nostro paese lavoro di qualità e fermare quella fuga all’estero dei giovani più brillanti, di cui tanto parliamo nei convegni e negli articoli di giornale senza mai fare nulla di concreto».
Non solo vaccini, anche gli anticorpi monoclonali sono una tecnologia molto sponsorizzata contro Sars-CoV-2. Per alcuni “la svolta contro il virus”, per altri solo uno specchietto per le allodole. Di recente Aifa ne ha approvato l’utilizzo straordinario anche in Italia, dopo mesi di ripensamenti. Come si spiegano tanti dubbi nel mondo scientifico?
«La verità è che abbiamo ancora pochi dati: i trial clinici sino ad oggi realizzati, di piccole dimensioni e per lo più promossi dagli stessi produttori, hanno accertato che i monoclonali servono a poco per i pazienti ospedalizzati, e vanno utilizzati nei primissimi giorni dall’insorgenza dell’infezione nelle persone con sintomi lievi o moderati ma che rischiano di evolvere verso forme gravi della malattia a causa dell’età e di comorbilità», delinea l’esperto.
«Si tratta inoltre – continua – di un farmaco che pone problemi logistici non da poco, visto che la sua somministrazione va effettuata tramite infusione endovenosa in un ambito ospedaliero. Negli Usa oltre la metà dei flaconi acquistati a caro prezzo dal Governo federale dopo l’autorizzazione all’uso emergenziale della Fda (Federal Drug Administration) nello scorso novembre giacciono inutilizzati nei frigoriferi, e nelle sue linee guida la Idsa, Infectious Diseases Society of America, ha dato una indicazione molto problematica circa il loro utilizzo».
Ora l’Italia cosa ne farà? «In Italia l’Aifa ha deciso di autorizzare l’utilizzo straordinario di questi farmaci per categorie di pazienti ben individuate, e contemporaneamente ha avviato – molto opportunamente a mio parere – un bando per la realizzazione di trial clinici che ci permettano di acquisire più dati sul loro utilizzo e di valutarne l’effettiva utilità e ambiti di utilizzo. Non mancano purtroppo, nella storia di questa pandemia, i casi di medicinali presentati come miracolosi e che poi, alla prova concreta di trial clinici randomizzati condotti come si deve, si sono rivelati inutili o addirittura dannosi».
Non resta che aspettare che non si tratti di una bolla vuota, dunque. «Aspettiamo e lasciamo parlare la scienza – conclude Ippolito – evitando le contrapposizioni tra guelfi e ghibellini basate sull’emotività generata da campagne mediatiche superficiali o, peggio, alimentate da interessi opachi».
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