Giulia Quaglini, vice presidente di Parkinson Italia, spiega: «Le difficoltà nel mondo del lavoro e nel campo degli affetti creano nella persona uno stato di depressione, di ansia. Per questo non è facile convivere con la malattia». Per i pazienti diverse sono le priorità: assicurare una presa in carico multidisciplinare, migliorare la qualità della vita di pazienti e caregiver, alleviare l’impatto psicologico
In tv e nei media non se ne parla molto se non per l’impegno di un illustre malato, l’attore canadese Michael J. Fox che ci convive dall’età di 30 anni. Eppure i numeri sul morbo di Parkinson parlano di una patologia molto diffusa: oggi in Italia sono circa 300mila le persone con malattia di Parkinson e purtroppo questo numero è destinato ad aumentare. Nei prossimi 15 anni si stima che si arriverà a 6mila nuovi pazienti l’anno, di cui la metà colpiti ancora in età lavorativa.
Fondamentale la diagnosi precoce: sintomi riconducibili alla malattia di Parkinson sono, ad esempio il deficit olfattivo, la depressione, i dolori delle grosse articolazioni e i disturbi comportamentali durante il sonno. Tutti sintomi non motori che possono aiutare a identificare soggetti a rischio di sviluppare la malattia con un anticipo di 10-12 anni e cambiare il decorso della malattia, rallentandone la progressione.
«La convivenza con la malattia di Parkinson è molto soggettiva. Ogni persona ha il suo Parkinson, gli ostacoli che si incontrano sono diversi da persona a persona a persona» spiega a Sanità Informazione Giulia Quaglini, Vice Presidente di Parkinson Italia e presidente di As.P.I (Associazione Parkinson Insubria), sezione di Cassano Magnago.
Per i pazienti diverse sono le priorità: assicurare una presa in carico multidisciplinare, migliorare la qualità della vita di pazienti e caregiver, alleviare l’impatto psicologico e alleggerire la burocrazia.
«Il 10% sviluppa la malattia già intorno ai 50 anni e questa impatta sulla rete di relazioni che sta attorno alla persona, a partire dalla famiglia – spiega Quaglini -. È importante essere informati sulla malattia: ad oggi non è curabile ma si può gestire. Quando arriva la diagnosi tutta la famiglia rimane coinvolta. La malattia ha una progressione lenta. Pensiamo alle difficoltà nel mondo del lavoro e nel campo degli affetti che creano nella persona uno stato di depressione, di ansia».
Purtroppo, anche per il Parkinson sono diverse le differenze nella presa in carico da regione a regione: «La multidisciplinarietà è un valore aggiunto da mettere in campo alla diagnosi da un team di professionisti che sappiamo stare vicino e accompagnare in tutto il percorso. I servizi dovrebbero essere uguali per tutti ma purtroppo non è sempre così. Ci sono regioni guida che adottano delle buone pratiche che potrebbero essere esportate in tutte le altre».
Tra gli aspetti più complessi, l’impatto psicologico: «La componente psicologica è una delle prime cose. Sono ben conosciuti i sintomi motori e c’è una terapia di supporto. Ma di fatto è molto più compromettente della qualità di vita tutto il percorso sui sintomi non motori della malattia, a partire dall’aspetto psicologico».
Per Parkinson Italia una delle priorità è il riconoscimento della figura del caregiver con delle misure a sostegno delle famiglie: «La vita del caregiver è complicata – ricorda la vicepresidente di Parkinson Italia -. Bisogna saper conciliare i tempi lavorativi con quelli familiari. Spesso ci si sente inadeguati, ci si vergogna del nostro stato, non ci si sente liberi. C’è spesso anche riluttanza nel chiedere aiuto. Bisogna arrivare presto al riconoscimento del servizio offerto alla società dai caregiver. Oggi non esiste una legge nazionale che identifica i bisogni, le agevolazioni, la tutela di chi 24 ore su 24 si prende cura del proprio familiare».
Parkinson Italia ha aderito al manifesto europeo del Parkinson che ha tra gli obiettivi quello di sensibilizzare i decisori, i politici e i governi, così da rendere la malattia una priorità in ambito sanitario in Europa e accrescere la consapevolezza del Parkinson nella popolazione in generale.
Uno degli ostacoli da superare è quello della burocrazia, soprattutto in ambito di riconoscimento dell’invalidità: «Solo per l’acquisizione della legge 104 ci sono casistiche dove la persona giovane viene compromessa e conclamata l’impossibilità lavorativa, ma spesso ci vogliono anni per riconoscere lo stato di invalidità perchè questo avviene solo davanti a una autosufficienza. Parliamo spesso di padri di famiglia, persone che rischiano la povertà. La burocrazia è troppo lenta. Ci sono troppi passaggi e mille complicanze» conclude Quaglini.
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