Il musicoterapeuta AIM Filippo Giordano: «Gli effetti della musicoterapia su pazienti Covid-19 portino a rivalutare questa branca»
Musica per curare, musica per prevenire, musica per dare sollievo. Da sempre note e accordi sono un mezzo per canalizzare emozioni e stati d’animo, e il canto una potente valvola di sfogo nonché di condivisione. Negli ultimi anni questa consapevolezza ha trovato spazio nel giusto riconoscimento della Musicoterapia come disciplina volta a supportare la maggior parte dei trattamenti per condizioni patologiche o parafisiologiche, dalle cure oncologiche alla gravidanza passando per le malattie cardiovascolari e i disturbi psichiatrici. Con un imperativo categorico: una formazione certificata per il professionista musicoterapeuta. In quali e quanti modi la musica (e non solo la musicoterapia) può fondersi con la pratica clinica, ce lo spiega il dottor Filippo Giordano, musicoterapeuta e membro dell’AIM (Associazione Italiana Musicoterapia).
«Si tratta di due espedienti molto diversi, che solo a un’occhiata superficiale potrebbero confondersi. Un conto è utilizzare la musica durante una qualsiasi attività con un paziente, altro è attuare un intervento di musicoterapia. Quest’ultima – spiega Giordano -può essere utilizzata in ambito terapeutico ma anche in ambito di prevenzione, prevede una relazione che si instaura tra il musicoterapeuta e il paziente attraverso lo strumento della musica e prevede un uso sistematico di una vasta gamma di esperienze musicali, sia attive (fare musica) che ricettive (ascoltarla). L’intervento musicale in medicina, invece, è tutt’altro – chiarisce il musicoterapeuta – ma ha anch’esso i suoi effetti benefici. Facciamo due esempi: il chirurgo in sala operatoria può decidere di metter su della musica, per giovare sia a sé stesso che al paziente. Beninteso che se il paziente non è cosciente perché in anestesia generale, la scelta dell’ascoltare o meno musica, e quale musica, sarà a discrezione del chirurgo. Viceversa, sarà a discrezione del paziente se verrà data a lui la facoltà di sceglierla, come avviene sempre più spesso nelle sale parto per aiutare la partoriente in un momento delicato. In questi casi – sottolinea – si parla di intervento musicale e non di musicoterapia perché la relazione medico-paziente non si evolve nella musica. In musicoterapia, invece, è la relazione stessa e i processi ad essa connessi ad avere valore terapeutico».
«Un intervento di musicoterapia – spiega Giordano – consta di tre parti: una valutazione, il trattamento con la definizione degli obiettivi che sono multidisciplinari e prevedono quindi una sinergia di più specialisti, e la verifica dei risultati e dell’evoluzione del percorso musicale intrapreso col paziente, attraverso l’uso di diverse esperienze musicali sia attive che recettive e una relazione incentrata sulla musica. Per questo motivo – afferma – è essenziale che chi la effettui sia un professionista specificamente formato e specializzato».
Che la musica impatti notevolmente e in modo benefico sulla gestione di numerose patologie è ormai un’evidenza dimostrata da numerosi studi e pubblicazioni scientifiche. Che questo effetto positivo si dispiegasse anche nel contesto dell’emergenza Covid-19, sui pazienti ricoverati in terapia sub-intensiva, non era così scontato. Ed invece è proprio ciò che è strato dimostrato da uno studio pubblicato su Nature condotto presso il Policlinico di Bari dall’equipe guidata da Filippo Giordano. «Lo studio è stato effettuato per quattro settimane nella primavera del 2021 – spiega – ed ha coinvolto 40 pazienti ricoverati per Covid-19, anche in terapia sub-intensiva, attraverso trattamenti di musicoterapia. Nei pazienti trattati sono stati riscontrati punteggi migliori non solo relativamente all’abbassamento dei livelli di ansia e depressione, ma anche sull’innalzamento dei livelli di ossigenazione del sangue. Questo dimostra l’importanza e l’efficacia di un approccio clinico olistico e multidisciplinare – conclude – in cui la musicoterapia possa assurgere a pieno titolo come terapia complementare a supporto di quella farmacologica».
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