Nel mondo stimati 6,2 milioni di tagli cesarei inutili. Viora (AOGOI): «La percentuale di cesarei in Italia è del 32%. La riduzione è più lenta delle attese, ma costante. Durante la pandemia nessun aumento di cesarei tra le donne affette da Covid»
I batteri che la mamma trasmette al proprio bambino durante il parto naturale rafforzano il sistema immunitario del nascituro. A rivelarlo uno studio pubblicato sulla rivista PLOS Medicine e condotto dagli esperti dell’università di Aarhus in Danimarca e del Murdoch Children’s Research Institute in Australia. I ricercatori avrebbero evidenziato un maggiore rischio di ricovero, entro i primi cinque anni di vita, tra i piccoli venuti alla luce da parto cesareo.
Secondo Lars Pedersen, uno degli autori danesi dello studio sarebbero 6,2 milioni i tagli cesarei non indicati, un numero raddoppiato dal 2000 ad oggi. Per condurre la propria ricerca gli studiosi hanno analizzato 7,2 milioni di nascite avvenute tra Australia, Danimarca, Inghilterra e Scozia, circa un quarto delle quali tramite taglio cesareo, il 57% in condizioni di emergenza. Il gruppo di ricerca ha scoperto che circa 1,5 milioni di bambini sono stati ricoverati in ospedale con una grave infezione prima del quinto compleanno. Le principali problematiche riscontrate sono state di natura respiratoria, gastrointestinale o dovute ad infezioni virali.
Elsa Viora, presidente del consiglio direttivo AOGOI, l’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani, descrive a Sanità Informazione, la situazione dell’Italia. «Nel nostro Paese, l’unico strumento che abbiamo a disposizione per comprendere la diffusione del parto cesareo è il CeDAP, il Rapporto Certificato di assistenza al parto, compilato nel 100% delle nascite. Pur essendo una rilevazione precisa ed affidabile – sottolinea Viora – risente del ritardo con cui vengono diffusi i relativi dati. L’ultima pubblicazione, infatti, è datata 2017. La percentuale di cesarei è stimata intorno al 32%, con una riduzione lenta rispetto alle attese, ma costante».
L’incidenza di parti cesarei cambia tra le varie zone d’Italia ed anche tra la popolazione: «Risulta molto più diffusa tra le donne italiane che tra quelle straniere», sottolinea la ginecologa.
«Ci sono delle precise indicazioni mediche che inducono a programmare un cesareo o anche a praticarlo d’urgenza. Ma al di là delle situazioni in cui lo si sceglie per tutelare la salute della donna e del suo bambino, ci sono altre circostanze in cui, pur non essendo necessario o consigliato, lo si mette in atto – dice la presidente del consiglio direttivo AOGOI -. È il caso di quelle donne che decidono volontariamente di rinunciare ad un parto naturale. Sono questi i cesarei che andrebbero evitati. E per farlo sarebbe necessario incrementare il dialogo tra medico e paziente e rinforzare la comunicazione sociale ed istituzionale».
È la paura a spingere le donne a richiedere un parto cesareo: «Temono il dolore o che il parto naturale possa compromettere il loro benessere e quello del proprio bambino», sottolinea la specialista. Ma è ancora una volta la corretta informazione a poter fare la differenza: «Da un lato comunicando alle donne che è possibile sottoporsi all’epidurale per il trattamento del dolore durante il parto naturale e, dall’altro – aggiunge Viora -, spiegano il rapporto rischi/benefici sia del parto spontaneo, che cesareo».
Ma una buona notizia c’è ed arriva dalle ricerche condotte in epoca Covid. «L’Istituto Superiore di Sanità, dallo scorso 25 marzo, sta coordinando uno studio di popolazione che, tra le altre cose, analizza la condizione delle gravide che hanno contratto il virus durante la gestazione. La raccolta dei dati – dice la ginecologa – è ancora in corso, ma dai primi parziali si rileva che nei mesi di pandemia non c’è stato un aumento di bambini nati da taglio cesareo. Un ottimo segno che evidenzia come il lavoro di informazione e comunicazione, che ostetrici e ginecologi stanno portando avanti, stia dando ottimi risultati, anche – conclude Viora – in un periodo di massima allerta».
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