E sulla normativa il professore dell’Università Sapienza di Roma commenta: «La legge italiana è rigidissima con le navi “targate Italia” e, poi, sulle altre navi lascia che venga imbarcato chiunque»
Dalle professionalità sanitarie presenti a bordo delle navi da crociera e passeggeri, alla normativa nazionale ed internazionale attuale, fino alle proposte innovative in materia. Ai microfoni di Sanità Informazione il professor Mauro Salducci, medico di bordo abilitato, aggregato di Malattie dell’Apparato Visivo e direttore del master in Oftalmologia Medico Legale della Sapienza Università di Roma.
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Professor Salducci, quali sono le professioni sanitarie presenti a bordo di una nave da crociera?
«È prevista la presenza di due medici. Il primo deve possedere una qualifica di direttore sanitario, il secondo è un medico in subordine, detto “primo medico”, che collabora con il direttore stesso. In Italia ci sono circa 150 direttori sanitari che, con la loro qualifica, possono imbarcarsi su navi che fanno il giro del mondo. Oltre ai due medici, sulle navi da crociera, è prevista la presenza di almeno due infermieri».
Dove operano queste figure professionali?
«A bordo è previsto un piccolo ospedale, che non è, ovviamente, paragonabile ad un ospedale territoriale. Ricorda una versione evoluta di un’infermeria di tipo militare».
Parliamo della normativa. Cosa dice la legge italiana in materia?
«È una normativa molto ferrea, nata alla fine dell’800, periodo in cui l’emigrazione verso l’America a bordo dei transatlantici era sostenuta. Precedentemente, i medici a bordo erano medici della Marina Militare prestati alla Marina Mercantile. Poi, nel 1895 fu fatto un regio decreto, ancora attivo, in base al quale per iscriversi all’albo dei medici di bordo abilitati è necessario sostenere un esame molto duro. L’abilitazione avviene, in genere, con cadenza quinquennale e richiede competenze in clinica medica, chirurgica, ostetrico-ginecologica e pediatrica. Competenze necessarie soprattutto un tempo, quando durante le traversate transatlantiche – che duravano diversi mesi – a bordo poteva accadere di tutto: delle persone morivano, altre nascevano».
E la normativa internazionale?
«Differisce in modo sostanziale da quella italiana e, soprattutto, è applicata sulla maggior parte delle navi da crociera attualmente in circolazione. Navi che, nel mondo, hanno prevalentemente bandiere estere. Una bandiera che permette di imbarcare medici che nella comunità europea non potrebbero esercitare la professione, perché in possesso di una laurea non riconosciuta in Europa. Una vera contraddizione: la legge italiana è rigidissima con le navi “targate Italia” e, poi, sulle altre navi lascia che venga imbarcato chiunque. Sarebbe opportuno che la comunità internazionale rivedesse questi aspetti normativi».
Ci sono stati dei recenti aggiornamenti?
«Non da questo punto di vista. Negli ultimi 15 anni è stato introdotto l’obbligo per i medici di fare i corsi cosiddetti “STCW 95”, che comprendono competenze su antincendio, salvataggio. Aggiornamenti, a mio avviso, del tutto inopportuni: il medico di bordo, su una nave con 5mila persone, se c’è un sinistro marittimo, è bene che faccia il medico. Altre figure potranno occuparsi di dirigere il traffico o spegnere un incendio. Sarebbe meglio indirizzare le risorse verso aggiornamenti volti a verificare il grado di preparazione in materia di rianimazione di emergenza».
Come si gestisce l’emergenza in mare? È differente dalla terraferma?
«In mare, il medico deve stabilizzare ed evacuare. Non può trattare un paziente per giorni, a bordo. Normalmente, nelle crociere classiche, si tocca un porto ogni 24 ore, occasione in cui il paziente deve essere trasferito in un ospedale sulla terraferma. Se non è previsto l’approdo, il medico può imporre al comandante di cambiare rotta o organizzare un’evacuazione di emergenza del paziente con un elicottero. Quando la nave affronta una traversata oceanica, in cui per quattro o cinque giorni non è prevista alcuna sosta, allora il medico sarà davvero solo a gestire l’emergenza. E per questo è necessario che sia davvero preparato a farlo».