Gomes (Crioestaminal): «A inizio 2021 via a sperimentazione clinica di un farmaco sperimentale a base di cellule staminali mesenchimali». Negli Usa tassi di successo sorprendenti
Non solo vaccini, anticorpi monoclonali e trasfusioni di plasma convalescente. La lotta al Covid-19 passa anche per la strada delle cellule staminali. Più precisamente quella delle infusioni di cellule staminali mesenchimali, “cellule bambine” in grado di specializzarsi in diversi tipi di tessuto. Queste cellule si possono prelevare ed estrarre dal cordone ombelicale, far proliferare in laboratorio ottenendo materiale sufficiente a trattare, stando alle ultime stime, più di 10mila pazienti. Per questo, sono in corso in tutto il mondo varie sperimentazioni cliniche e i primi risultati si sono rivelati molto promettenti. Anche il nostro Paese non è da meno, tanto che sta per iniziare una grande sperimentazione che coinvolge 4 centri di ricerca coordinati dall’Università di Modena e Reggio Emilia.
Il trattamento a base di cellule staminali è destinato ai pazienti che sviluppano forme medio gravi dell’infezione. «Alcuni pazienti Covid-19 presentano una grave forma di polmonite e sviluppano rapidamente la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), che richiede il ricovero nell’unità di terapia intensiva», spiega a Sanità Informazione André Gomes, direttore generale di Crioestaminal, la prima banca di conservazione di cellule staminali del cordone ombelicale nella penisola iberica.
«Le cellule staminali mesenchimali possiedono proprietà specifiche che le rendono candidate promettenti per l’uso terapeutico. Non sono immunogeniche, ma possono avere effetti immunomodulatori e antinfiammatori. E allo stesso tempo possono rilevare e raggiungere – continua – quei microambienti danneggiati allo scopo di innescare il processo di rigenerazione».
In pratica, la loro azione è quella di modulare la risposta immunitaria, “spegnendo” l’infiammazione e innescando la riparazione dei tessuti danneggiati. «Le cellule staminali mesenchimali possono essere attratte dal sito della lesione – specifica Gomes – e contribuire alla riparazione degli organi e favorire la funzione delle cellule progenitrici endogene nel polmone. È noto, infatti, che dopo l’infusione endovenosa, le cellule staminali mesenchimali si accumulano nel polmone e questo potrebbe migliorare il microambiente polmonare, proteggere le cellule epiteliali alveolari, prevenire la fibrosi polmonare e migliorare la funzione polmonare».
È già dallo scorso marzo che Gomes sta lavorando alla produzione di un farmaco sperimentale a base di cellule staminali mesenchimali su larga scala. «Abbiamo terminato la fase di sviluppo e ora stiamo producendo la prima dose che utilizzeremo in una sperimentazione clinica che coinvolge diversi ospedali in Portogallo – dice Gomes -. Prevediamo di cominciare all’inizio del 2021», aggiunge.
Studi sono stati condotti in Cina, negli Stati Uniti, in Israele e in altri Paesi europei. E molti altri sono ancora in corso. I risultati preliminari indicano che l’approccio con le staminali possa rappresentare un vero e proprio “salva-vita” per i pazienti con forme gravi di Covid-19. Hanno infatti confermato che queste “cellule bambine” abbiano sia un’azione antinfiammatoria che immunomodulatoria combattendo quella “tempesta di citochine” che l’infezione da Sars-CoV-2 può scatenare, oltre che promuovere la riparazione e la rigenerazione dei tessuti.
Negli Stati Uniti sono stati raggiunti tassi di successo sorprendenti, come di recente ha confermato Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute e Cell Transplant Center dell’Università di Miami. Secondo quanto riferito dallo scienziato italiano, team leader dello studio americano, le cellule staminali mesenchimali cordonali avrebbero salvato la vita dei pazienti coinvolti al 100% dei casi sotto gli 85 anni d’età e oltre il 90% dei casi considerando tutte le fasce d’età. Insomma, la strada delle cellule staminali potrebbe rivelarsi determinante nella lotta all’emergenza Covid-19.
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