Salute 5 Settembre 2024 13:18

Neuroblastoma metastatico, bambina senza segni clinici di malattia a 32 mesi dalla terapia

A Vicenza, una neonata affetta da spina bifida e idrocefalo, a sole 48 ore di vita, è stata sottoposta ad un complesso intervento di neurochirurgia che le ha salvato la vita. Due storie di buona sanità a confronto

Neuroblastoma metastatico, bambina senza segni clinici di malattia a 32 mesi dalla terapia

Una bambina con neuroblastoma metastatico ad alto rischio e mutazioni nel gene Bard1, trattata con un nuovo farmaco molecolare chiamato talazoparib, progettato per colpire queste mutazioni, dopo 32 mesi dalla fine della terapia non ha presentato segni clinici di malattia. Una neonata affetta da spina bifida e idrocefalo, invece, a sole 48 ore di vita, è stata sottoposta ad un complesso intervento di neurochirurgia, durato oltre quattro ore, che le ha salvato la vita. Sono due esempi di buona sanità che ben descrivono i risultati, in termini di guarigione e miglioramento della qualità della vita, che oggi è possibile ottenere grazie ai progressi della ricerca scientifica.

Il neuroblastoma metastatico, il caso del St. Jude Children’s

Il primo caso, quella della bambina affetta da neuroblastoma metastatico, è stato illustrato in studio del St. Jude Children’s Hospital, negli Stati Uniti, pubblicato sulla rivista scientifica ‘The New England Journal of Medicine’. “Un risultato incoraggiante e straordinario”, commenta il ricercatore Mario Capasso, professore di genetica medica all’Università Federico II di Napoli e coordinatore scientifico al Ceinge di Napoli, centro di ricerca da anni impegnato a studiare le basi genetiche della malattia anche per via di progetti come quelli sostenuti dalla Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma. “La bambina – continua Capasso – ha mostrato una risposta completa alla terapia, con la totale eliminazione delle cellule tumorali dal midollo osseo. Ancora più incoraggiante: la paziente è rimasta  libera da malattia per 32 mesi dopo la fine del trattamento. Certo, è importante monitorare l’evoluzione del suo stato di salute nei prossimi mesi. Ma 32 mesi liberi da malattia sono un risultato straordinario per una paziente resistente alle terapie standard. Tipicamente, infatti, per questa categoria di pazienti l’aspettativa di vita è di soli pochi mesi”.

Il ruolo delle mutazioni del gene Bard1

Anche il Ceinge, con uno specifico gruppo di lavoro, ha portato avanti nuove ricerche. “Uno dei risultati più significativi del team di Napoli – continua il ricercatore – è stata la scoperta di mutazioni in un gene chiamato Bard1. Queste varianti, come dimostrato dagli studi del nostro gruppo, possono alterare il normale funzionamento delle cellule e sono potenziali bersagli per nuovi trattamenti terapeutici. Da tutto ciò – continua Capasso – si comprende come i fondi destinati alla ricerca genetica possano avere un impatto diretto sulla pratica clinica”. Lo studio delle mutazioni nei geni per l’individuazione di “bersagli” da colpire per finalità  terapeutiche rientra nelle aree di ricerca sostenute dalla Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma, ramo scientifico dell’Associazione Italiana per la Lotta al  Neuroblastoma, organizzazione non-profit. “Continueremo a supportare rami di indagine come questo”, assicura Sara Costa, segretaria generale della Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma e presidente dell’omonima Associazione.

Spina bifida e idrocefalo, complesso intervento a due giorni dalla nascita

Il complesso intervento di Neurochirurgia, invece, è stato eseguito all’ospedale San Bortolo di Vicenza, dove è venuta alla luce la piccola, dopo sole 31 settimane di gravidanza. La bambina è nata affetta da una malformazione denominata mielomeningocele, una tipologia di spina bifida aperta particolarmente grave, in quanto determina la mancata chiusura della colonna vertebrale e dei tessuti muscolari e cutanei nella parte inferiore della schiena, con l’esposizione del midollo spinale. Ciò comporta, innanzitutto, un elevato rischio infettivo (meningite), con conseguente necessità di eseguire una rapida riparazione del difetto, oltre a possibili conseguenze neurologiche a lungo termine come deficit motori e/o deficit sfinterici. Inoltre, la paziente è nata anche affetta da idrocefalo, patologia spesso associata al mielomeningocele, che consiste in un accumulo di liquor nei ventricoli cerebrali e che se non trattata può provocare a propria volta gravi conseguenze a livello motorio e cognitivo. Così, appena due giorni dopo la nascita, la piccola paziente è stata sottoposta ad un complesso intervento di neurochirurgia, durato oltre quattro ore, durante il quale è stata riparata la parte terminale (più bassa) del midollo spinale, isolata e liberata con tecnica microchirurgica dai tessuti malformati e ricostruita la membrana che racchiude il midollo spinale.

Il successo di un lavoro di squadra

Nella stessa seduta operatoria, inoltre, i neurochirurghi hanno trattato anche l’idrocefalo, tramite  l’applicazione di una derivazione ventricolo-peritoneale per controllare la pressione nel cervello e permettere il drenaggio del liquor in eccesso. “È stato un grande lavoro di équipe – sottolinea il dottor  Lorenzo Alvaro, direttore facente funzione della Neurochirurgia dell’ospedale di Vicenza -, a partire dal servizio di Diagnosi Prenatale che ha individuato la patologia durante la gravidanza. Molto importante, inoltre, è stato anche il ruolo dei chirurghi plastici, così come dei colleghi della Chirurgia Pediatria, che ci hanno supportato nell’installazione della derivazione peritoneale e soprattutto hanno eseguito una serie di iniezioni di ozono per accelerare la guarigione della ferita, così da scongiurare il rischio di infezioni. E, poi, ancora va sottolineato il contributo dei neurofisiologi, che durante l’intervento hanno verificato la vitalità dei tessuti nervosi su cui andavamo via via ad intervenire e, naturalmente, il delicato ruolo svolto nel decorso post operatorio dal personale della Terapia Intensiva Neonatale”.

 

 

 

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