«Due ostacoli da superare per gli aspiranti neurologi: difficoltà della materia e carenza di posti a disposizione». Così Gianluigi Mancardi, Presidente della Società Italiana di Neurologia
«Studiare le patologie del sistema nervoso centrale e periferico è senza dubbio affascinante. Non è raro che ci si innamori di questa branca della medicina». Ed è per questo, secondo Gianluigi Mancardi, Presidente della Sin, la Società Italiana di Neurologia, e Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Genova, che molti giovani medici tentano con tutte le proprie forze di superare l’esame di accesso alla scuola di specializzazione in neurologia. Ma «uno studio matto e disperatissimo» non basta. Due gli ostacoli da superare: la difficoltà della materia e soprattutto la carenza di posti a disposizione.
«Anche gli aspiranti specializzandi in neurologia devono fare i conti con il cosiddetto “imbuto formativo”, al pari dei colleghi che tentano l’ammissione per la specializzazione in altre branche della medicina. Gli studenti che al quinto anno di medicina si lasciano trasportare dal fascino di questa branca, tanto da richiedere anche la tesi in questa materia, sono nettamente superiori al numero di posti disponibili nelle varie scuole di specializzazione». Per rendere l’idea il professore Mancardi cita le cifre della realtà a lui più vicina: «Lavoro a Genova e qui i posti in clinica neurologica sono 5 per anno e gli aspiranti molti di più».
Eppure la Sanità italiana avrebbe bisogno di molti più neurologi. Ne è convito anche lo stesso presidente Mancardi: «I posti di specializzazione in neurologia andrebbero aumentati almeno del 15-20%». Queste cifre non rispondono solo all’esigenza di un fisiologico ricambio generazionale, ma anche all’enorme progresso scientifico degli ultimi anni. «La neurologia è una branca in espansione – ha detto il presidente Sin – e quindi si ha la necessità di giovani competenti in diversi settori, per poter curare e affrontare le più rilevanti malattie, come le quelle cerebrovascolari, il decadimento mentale, l’epilessia o la sclerosi multipla».
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Patologie che richiedono percorsi di cura dedicati e specifici: «Pensiamo ad esempio ai centri ictus – ha aggiunto il professore Mancardi – sono un’ esigenza nell’intero territorio nazionale, ma non tutte le zone risultano attualmente coperte. Questi centri per essere attivi hanno bisogno di specialisti, i neurologi appunto, oltre agli infermieri dedicati».
Un percorso ad ostacoli, dunque, di cui a vedere il traguardo sono davvero in pochi. Ma cosa accade dopo la specializzazione? Arriva finalmente la discesa o c’è ancora tanto da sudare?
«In genere – ha detto Mancardi – i neospecialisti trovano una sistemazione adeguata in un tempo ragionevole. L’inserimento lavorativo è piuttosto semplice, soprattutto nel pubblico. È ovvio che la neurologia non è esente da quei problemi di gestione delle finanze che riguardano la contrazione delle risorse e il conseguente calo delle assunzioni. Ma è pur vero che, a fronte di pensionamenti, le Unità Operative Complesse di neurologia, devono rimanere funzionanti, sia nel pubblico che nel privato. E per farle funzionare ci vogliono gli specialisti».
Insomma, una buona notizia che premia le fatiche di chi riesce a superare con successo quella strettoia “dell’imbuto formativo”, attraversarne il collo, sbucando tra i banchi delle scuole di specializzazione. Ma qual è invece la situazione della neurologia, per un altro fenomeno tutto italiano, quello della fuga dei cervelli?
«La neurologia – ha detto Mancardi – è la branca clinica di un settore molto più ampio, quello delle neuroscienze. Pensiamo ad esempio all’attrazione che il funzionamento del sistema nervoso può esercitare su un giovane ricercatore. Molti, spinti da questa sete di conoscenza, vanno all’estero per migliorare la loro formazione e in tanti decidono anche di rimanerci. Quindi sì – ha concluso il presidente Sin – esiste una fuga di cervelli anche in questo settore».