di Guido Rasi, ex Direttore Esecutivo dell’EMA e Direttore Scientifico Consulcesi
Per parecchie settimane la circolazione del virus in Italia è stata relativamente bassa, una delle più basse d’Europa. Questo ha consentito la ripresa della maggior parte delle attività, molte delle quali vicine alla precedente “normalità” seppur condizionate dall’uso del green pass e delle mascherine. È difficile prevedere se questa situazione sarà stabile o costituisca solo una tregua nell’andamento della pandemia, destinata ad essere seguita da un quarto picco di infezioni e di ricoveri. Oggi in Italia si assiste ad un lieve ma costante aumento dei nuovi casi di Covid-19, seppur ridotto rispetto al resto dell’Europa. Proviamo ad analizzare quali fattori potrebbero consolidare la situazione attuale e quali invece costituiscano motivo di preoccupazione.
L’approccio italiano al contrasto della diffusione del virus si basa su tre fattori: una campagna vaccinale di massa svolta ordinatamente ed in tempi relativamente brevi, l’uso delle mascherine negli ambienti chiusi e nelle situazioni di assembramento e l’utilizzo del green pass.
Ricordiamo che il vaccino conferisce l’immunità a circa il 94% della popolazione e nel 76% dei casi previene anche l’infezione, che l’uso corretto delle mascherine previene quasi totalmente la trasmissione del virus e che il tampone garantisce l’assenza d’infezione per alcune ore. Il green pass documenta quindi la presenza di uno stato di immunità (naturale o acquisita) o la temporanea assenza di infezione. Lo svolgimento di attività, siano esse sociali o lavorative, consentite solo a chi possa esibire il green pass permette di selezionare una popolazione sostanzialmente immune o temporaneamente esente da infezioni, e quindi la creazione di ambienti a minima circolazione virale ed a ridotto rischio di infezione. Non utilizzare il green pass significa rinunciare ad identificare la popolazione a più alto rischio di disseminazione del virus e quindi vanificare il potenziale beneficio della vaccinazione.
Negli altri Stati europei queste tre misure sono state applicate in maniera meno efficace. La percentuale di vaccinati è generalmente inferiore, l’uso delle mascherine è meno diffuso e meno regolamentato e l’obbligatorietà del green pass è molto più limitata. Vi è una correlazione abbastanza lineare tra l’implementazione di queste tre misure ed il contenimento delle infezioni.
Se queste misure hanno posto il nostro Paese in una situazione di buon controllo dei contagi, vi sono però altri elementi da considerare. Il primo è che la percentuale dei vaccinati, seppure molto alta, non è omogenea, né per fascia di età né per distribuzione geografica, oltre alla popolazione pediatrica che al di sotto dei 12 anni non può ancora accedere al vaccino. Inoltre non vi è certezza sulla durata dell’immunità che dopo sei mesi inizia progressivamente a declinare, soprattutto nei più anziani e fragili. Ulteriore incognita è l’evoluzione della cosiddetta variante Delta plus (sottovariante AY.4.2) che sembra essere più efficiente in termini di infettività.
In questa situazione non sussistono le condizioni per ridurre le misure di contenimento, uso del green pass e della mascherina, certo non entro il 31 dicembre.
Rimane da fare una considerazione su cosa sia la normalità. Negli anni è diventato normale allacciarsi la cintura di sicurezza, indossare il casco, non fumare nei luoghi pubblici, accettare il controllo dei bagagli in aeroporto. La vera domanda è se sia “più normale” mettersi la mascherina e mostrare un green pass sul cellulare o interrompere ripetutamente attività sociali e produttive, rischiare nuovi lockdown e continuare ad intasare gli ospedali invece di accettare una “nuova normalità” svolgendo le nostre attività in una modalità che lo consenta con la massima sicurezza possibile. Intanto già si preannuncia l’estensione delle attuali misure fino a marzo 2022 ed il resto del mondo piano piano sta adottando le misure che noi abbiamo anticipato.
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