Infezioni a trasmissione oro-fecale, HIV, tubercolosi e Covid-19 sono i nemici che, insieme ai russi, minacciano l’Ucraina. Cauda (infettivologo): «Necessari Emergency-Team in grado di identificare e trattare le emergenze al confine»
Avrebbero dovuto continuare a rispondere ai bisogni dei più fragili ed invece sono finiti sotto le bombe. Anche gli ospedali, le case di cura, sono state prese di mira dal fuoco nemico. E così, oltre alle conseguenze dirette del conflitto, la popolazione locale deve fare i conti pure con quelle indirette, che aggiungono altri morti ai caduti ed altri ammalati ai feriti. Infezioni a trasmissione oro-fecale, HIV, tubercolosi e Covid-19 sono i nemici che, insieme ai russi, minacciano l’Ucraina.
«L’interruzione dei servizi sanitari e l’inadeguatezza dei servizi igienici sta peggiorando di giorno in giorno la situazione epidemiologica – dice Roberto Cauda, direttore UOC Malattie infettive della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Malattie Infettive all’Università Cattolica di Roma -. Gli impianti idrici e la rete fognaria in molte città dell’Ucraina sono stati distrutti dalle bombe. E, dove l’approvvigionamento di acqua diventa sempre più difficile, la possibilità di diffusione di malattie a trasmissione oro-fecale aumenta. Le infezioni si propagano non solo all’interno del Paese – sottolinea il professore -, ma possono anche superare il confine, veicolate dalle persone in fuga».
Le parole del professor Cauda scatenano un déjà-vu: «Le guerre, ma anche le catastrofi naturali come i terremoti, le alluvioni si ripercuotono, inevitabilmente, sul Sistema Sanitario. Ad Haiti, ad esempio, dopo il terremoto si è diffuso il Colera – racconta Cauda -. Nella Louisiana, a New Orleans dopo l’uragano Katrina, sono esplose altre malattie a trasmissione oro-fecale».
Una minaccia ancora più immediata sono le malattie che si diffondono per via aerea come il Covid-19. «Le persone si accalcano negli scantinati per proteggersi dai bombardamenti. Chi, invece, è riuscito a fuggire convive a stretto contatto con altre persone nei centri di prima accoglienza. La distanza di sicurezza non può essere mantenuta e l’utilizzo della mascherina diventa decisamente secondario mentre ci si deve mettere al riparo dal fuoco nemico – dice l’infettivologo -. Ad aggravare la situazione, poi, la scarsa diffusione di vaccini anti-Covid tra il popolo Ucraino (è immunizzato circa il 30-40% della popolazione)».
Se le strutture sanitarie sono ridotte in macerie, accedere agli ambulatori è impossibile. Lo stop non riguarda solo gli interventi in urgenza o le nuove diagnosi, ma anche le terapie per il trattamento delle patologie croniche. «Le malattie crono-dipendenti, come gli infarti o gli ictus, non scompaiono improvvisamente allo scoppio di una guerra. Così come non spariscono i malati cronici – spiega Cauda -. Pensiamo ad esempio ai pazienti con HIV in trattamento costretti ad interrompere bruscamente le terapie, cosi come quelli affetti da tubercolosi». L’allarme tubercolosi in Ucraina era stato già lanciato dal Medici Senza Frontiera molto prima che la guerra scoppiasse: nel 2019 in Ucraina è stato registrato uno dei tassi di tubercolosi più elevati al mondo. Nonostante la cura per la tubercolosi sia attiva da 30 anni, in Ucraina è fornita solo dal 2011.
E se la storia ci ha insegnato che gli eventi catastrofici si ripercuotono sempre sui Sistemi Sanitari, è dagli stessi eventi del passato che bisognerebbe imparare per limitarne quanto più possibile i danni. «Sarebbe necessario mettere in piedi un gigantesco piano di gestione dell’emergenza che coinvolga tutti, dentro e fuori dai confini dell’Ucraina – dice il professore -. Soprattutto nei punti di prima accoglienza bisognerebbe provvedere non solo ai beni di prima necessità, ma anche ad un controllo delle condizioni di salute di chi vi accede. Il compito andrebbe affidato agli Emergency-Team, composti da medici e infermieri specializzati, in grado di identificare e trattare questo tipo di emergenze nell’immediato. Solo per fare un esempio, si dovrebbe provvedere alla vaccinazione anti-Covid di tutti coloro che hanno lasciato l’Ucraina e che non sono ancora immunizzati». Altre iniziative, poi, andranno prese dai singoli Paesi ospitanti, per garantire non solo l’accoglienza dei rifugiati, ma anche la loro integrazione. «E il decreto “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”, approvato nei giorni scorsi dal nostro governo, che permette a medici ed infermieri ucraini di lavorare in Italia – conclude il professore – è un segnale forte che va proprio in questa direzione».
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