Ericka dopo due anni dalla malattia ancora non riesce a riprendere il lavoro perché le sono state diagnosticate diverse patologie: dalla stanchezza cronica, alla perdita di memoria, fino alla tachicardia e all’insonnia
“Non sono più io”, questo il nome del movimento creato da Ericka, 45 anni colombiana che a distanza di due anni dal Covid ancora soffre dei postumi del virus. Come lei tanti altri, solo in Italia si stima siano oltre il 50 percento di coloro che hanno affrontato e superato la malattia. «C’è un gruppo di oltre 35mila pazienti su Facebook, in UK sono oltre un milione coloro che ancora soffrono per le conseguenze del Covid, mentre negli Stati Uniti i numeri sono impressionanti» racconta Ericka Olaya Andrade. L’abbiamo incontrata a Milano alla Fabbrica del Vapore durante la design week dove sta cercando, dopo due anni, di riprendere contatto con il mondo del lavoro, anche se non è facile.
Stanchezza cronica, dolori, perdita di memoria, tachicardia, sbalzi di umore e insonnia, sono solo alcuni dei tanti sintomi che sono stati diagnosticati ad Ericka e che le condizionano la vita. «Per me è diventato difficile anche firmare un documento e muovermi per la città. Capita addirittura che mi perda in metropolitana come fossi una turista – ammette con un pizzico di imbarazzo –invece vivo a Milano da oltre 25 anni».
Sono ormai due anni che Ericka lotta contro il suo corpo, contro l’indifferenza della gente e contro un pregiudizio che non la abbandona anche dopo aver rischiato la vita per una forma severa di Covid. «Mi ritrovo in questa condizione – spiega – in primo luogo, perché quando sono stata contagiata, sul posto di lavoro, non sono stata creduta dal mio medico di base e sono rimasta a casa senza attenzione per tre settimane. Così ho compromesso tutto il mio sistema immunitario. Avevo una polmonite bilaterale interstiziale non diagnosticata e quindi dopo venti giorni sono arrivata in ospedale in ambulanza in condizioni disperate. Ho superato il peggio, ma poi è subentrata la stanchezza estrema che ancora mi accompagna, ma per la seconda volta non sono stata capita e dunque ho impiegato mesi prima di essere riconosciuta come una malata di Long Covid. Da aprile sono in cura presso uno specialista, a pagamento, ma la situazione per ora è stazionaria. Nessun miglioramento evidente».
Ma lei non si arrende e spinta dal desiderio di ricominciare a vivere ha creato il movimento “Non sono più io”, per diventare il punto di riferimento di quanti soffrono di Long Covid. «Ho iniziato a raccontare la mia storia sui social e molte persone hanno iniziato a scrivermi perché si ritrovavano nella mia situazione, anche ragazzi di vent’anni, ed allora ho deciso di creare un contenitore multimediale che potesse diventare il punto di riferimento per avere informazioni sul diritto alla salute che è fondamentale, inoltre trattiamo temi inerenti malattie croniche, invisibili che con il Covid sono emerse. Quindi il mio desiderio è sensibilizzare l’opinione pubblica, usando come strumento la cultura e l’arte».
Ericka nonostante le difficoltà quotidiane cerca di non perdere mai il sorriso e l’ottimismo tipico della sua terra e della sua gente. Per questo ha realizzato anche una forma di ballo inclusivo perché ripete più volte «Anche se siamo malati non dobbiamo perdere il desiderio di ricominciare a vivere». Ne è nato un concept di ballo inclusivo «per difendere l’allegria e riuscire a mettersi in moto ogni giorno – spiega -, avendo come ispirazione le usanze domestiche della Colombia con un ballo semplice in grado di essere fatto da tutti, grandi e piccini e addirittura da chi non può camminare e allora io invito tutti a seguirmi e dico: “Non cammini? Balla”».
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