La variante identificata a Napoli corrisponde a quella “nigeriana”. Altri 30 casi in UK. Per ora tutti i contatti del soggetto sono negativi
Identificata una nuova variante di Sars-CoV-2 a Napoli, ma si tratta di un mutante raro per ora. Con alcune caratteristiche tipiche della variante inglese, un punto in comune con sudafricana e brasiliana e un altro tutto nuovo. Si tratta di quella variante cosiddetta “nigeriana”, che conta 30 casi nel Regno Unito e altri nel mondo. Il paziente portatore era infatti appena tornato dall’Africa per motivi di lavoro.
Una delle mutazioni che contiene, la E484K, è definita “preoccupante” in quanto rientra tra quelle che potrebbero fornire al virus un “lasciapassare” contro il sistema immunitario. Dunque rendere i vaccini meno efficaci, fino a un eventuale aggiornamento che possa coprirla.
La sequenza è stata isolata all’Università Federico II di Napoli e dall’Istituto Pascale, da cui arrivano i primi chiarimenti. Secondo le prime notizie tutti i contatti del soggetto con Covid mutato erano negativi e sono rimasti negativi nel tempo. Dunque, gli esperti si dicono «abbastanza confidenti che il contagio sia stato isolato» e non ci sia stata diffusione nella variante.
A questo punto però, «potenziare la ricerca per capire il virus e per capire l’efficacia dei vaccini e delle terapie è un imperativo categorico». È la considerazione di Maria Triassi, presidente della Scuola di Medicina della Federico II di Napoli, a seguito della scoperta scientifica. «Non bisogna creare un eccessivo allarmismo sulle varianti che rischia di distrarci da altre emergenze nella lotta al virus, come l’accelerazione della campagna di vaccinazione e la sorveglianza epidemiologica».
«Non c’è alternativa – aggiunge – al supporto alla ricerca. Il contributo delle Scuole di Medicina in questo momento è soprattutto rivolto al mantenimento degli standard elevati di ricerca e assistenza che rendono sostenibili i corsi di laurea e la scuole di specializzazione. Se pensiamo soltanto ai ricoveri, che sono importanti, e non valorizziamo la ricerca, perdiamo l’opportunità di continuare a garantire una formazione elevata dei futuri professionisti della sanità»
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