Le caviglie protesiche robotiche controllate da impulsi nervosi consentono alle persone amputate di muoversi in modo più “naturale”, migliorando la loro stabilità. Lo dimostra un nuovo studio americano, pubblicato sulla rivista Science Robotics
Le caviglie protesiche robotiche controllate da impulsi nervosi consentono alle persone amputate di muoversi in modo più “naturale”, migliorando la loro stabilità. Lo dimostra un nuovo studio della North Carolina State University e della University of North Carolina at Chapel Hill, pubblicato sulla rivista Science Robotics. I risultati mostrano che il controllo neurale di una caviglia protesica può ripristinare una serie di abilità, tra cui stare in piedi su superfici difficili o accovacciarsi. Nello studio sono stati coinvolte 5 persone che avevano subito amputazioni sotto il ginocchio su una gamba.
“Questo lavoro si è concentrato sul controllo posturale, che è sorprendentemente complicato”, spiega Helen Huang, autrice dello studio e docente in entrambe le università. “Fondamentalmente, quando siamo fermi, il nostro corpo compie costantemente degli aggiustamenti per mantenerci stabili; ad esempio, se qualcuno ci urta mentre siamo in fila, le nostre gambe compiono un’ampia gamma di movimenti di cui non siamo necessariamente consapevoli per mantenerci in piedi. Lavoriamo con persone – continua – che hanno subito amputazioni agli arti inferiori e ci dicono che ottenere questo tipo di stabilità con i dispositivi protesici è una sfida significativa. Questo studio dimostra che le caviglie protesiche robotiche, controllate tramite segnali elettromiografici (EMG), sono eccezionalmente efficaci nel consentire agli utenti di raggiungere questa stabilità naturale“.
Gli EMG sono i segnali elettrici registrati dai muscoli di un individuo. Nello studio i partecipanti sono stati dotati di un prototipo di caviglia robotica che risponde ai segnali EMG rilevati dai sensori sulla gamba. “In pratica, i sensori sono posizionati sui muscoli nel punto in cui è avvenuta l’amputazione”, spiega Aaron Fleming, coautore dello studio e dottorando presso la NC State. “Quando un partecipante allo studio pensa di muovere l’arto amputato, invia segnali elettrici attraverso il muscolo residuo dell’arto inferiore; i sensori captano questi segnali attraverso la pelle e li traducono in comandi per il dispositivo protesico“, aggiunge.
I ricercatori hanno “addestrato” i partecipanti a utilizzare il prototipo del dispositivo, in modo che avessero una certa familiarità con la tecnologia. I soggetti sono stati poi incaricati di rispondere a una perturbazione attesa, cioè, dovevano rispondere a qualcosa che poteva far perdere l’equilibrio. Nella vita di tutti i giorni, questo potrebbe essere qualcosa come prendere una palla o raccogliere la spesa. Tuttavia, per replicare con precisione le condizioni nel corso dello studio, i ricercatori hanno sviluppato un sistema meccanico progettato per sfidare la stabilità dei partecipanti, ai quali è stato chiesto di rispondere alla perturbazione prevista in due condizioni: utilizzando i dispositivi protesici che usavano normalmente e usando il prototipo di protesi robotica. “Abbiamo scoperto che gli individui erano significativamente più stabili quando usavano il prototipo robotico“, evidenzia Fleming. “Avevano meno probabilità di inciampare o cadere; in particolare, il prototipo robotico ha permesso ai soggetti di modificare la loro strategia di controllo posturale”, aggiunge.
“Per le persone che hanno un arto inferiore intatto, la stabilità posturale inizia dalla caviglia”, spiega Huang. “Coloro che hanno perso l’arto inferiore devono normalmente compensare la mancanza di controllo della caviglia; allora abbiamo scoperto – prosegue – che l’uso di una caviglia robotica che risponde ai segnali EMG consente agli utenti di tornare alla loro risposta istintiva per mantenere la stabilità”. In una parte separata dello studio, i ricercatori hanno chiesto ai partecipanti di ondeggiare avanti e indietro mentre usavano la loro protesi usuale e mentre indossavano il prototipo di protesi robotica. I partecipanti allo studio erano dotati di sensori progettati per misurare l’attività muscolare di tutta la parte inferiore del corpo. “Abbiamo scoperto che i modelli di attività muscolare nella parte inferiore del corpo erano molto diversi quando le persone utilizzavano le due protesi”, sottolinea Huang.
“In pratica, i modelli di attivazione muscolare quando si impiegava il prototipo di protesi – aggiunge – erano molto simili a quelli che vediamo nelle persone che hanno l’uso completo di due arti inferiori intatti; questo ci dice che il prototipo che abbiamo sviluppato imita il comportamento del corpo abbastanza da consentire il ritorno dei modelli neurali delle persone normalmente dotate”. Questo dato è importante, perché suggerisce che la tecnologia sarà in qualche modo intuitiva per gli utenti. “Riteniamo che si tratti di un risultato clinicamente significativo, perché la stabilità posturale è un problema importante per le persone che utilizzano dispositivi protesici; ora stiamo conducendo uno studio più ampio con un numero maggiore di persone per dimostrare gli effetti della tecnologia e identificare quali individui possono trarre i maggiori benefici”, conclude Huang.
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