Abbiamo chiesto a Palermo (Anaao), Cricelli (SIMG) e Vergallo (Aaroi-Emac) come valutano le decisioni prese dal Governo per limitare il contagio. Ecco cosa ci hanno risposto
L’ultimo (per ora) DPCM del Governo prevede una serie di misure volte al contenimento del contagio da Covid-19 più restrittive rispetto all’analogo documento firmato solo pochi giorni prima. Di fronte a questa ulteriore stretta sono state diverse le voci di dissenso: dalle manifestazioni in piazza di cittadini e commercianti esasperati ai flash mob di lavoratori del settore dell’arte e dello spettacolo che protestano contro la nuova chiusura dei teatri e dei concerti. Ma cosa ne pensano i protagonisti di questa emergenza, ovvero i lavoratori della sanità?
Secondo Carlo Palermo, Segretario del sindacato Anaao-Assomed, le misure adottate dal Governo con l’ultimo DPCM sono «un passo in avanti rispetto al precedente, che avevo criticato in quanto troppo leggero. L’Italia, attualmente, è un vascello che si trova tra Scilla e Cariddi, tra il lockdown e il liberi tutti. Non è facile per il Governo trovare il punto di incontro tra questi due aspetti. L’espansione dell’epidemia ha portato picchi di ricoveri e di mortalità. È difficile – spiega Palermo – far fronte a bollettini quotidiani di 600-700 morti che si avrebbero con il liberi tutti».
«Questo DPCM è un punto di equilibrio. Ciò che serve adesso – continua Palermo – è la massima responsabilità da parte dei cittadini: continuare ad usare mascherine, mantenere il distanziamento e curare l’igiene il più possibile, ma anche fuggire da ogni atteggiamento negazionista. È l’unica strada che abbiamo per appiattire la curva dei contagi. La sanità del territorio ormai è saltata: non abbiamo l’adeguato supporto necessario sia per gli ambulatori che per l’attività domiciliare. Anche i medici di Medicina Generale e i Pediatri di Libera Scelta hanno difficoltà enormi perfino nel reperimento dei Dispositivi di Protezione Individuale».
«C’è carenza di tamponi, difficoltà enormi nel tracciamento dei contagi e altre criticità che hanno forti ripercussioni sugli arrivi in Pronto Soccorso, che cominciano ad essere importanti. Abbiamo difficoltà a ricoverare tutte le persone che ne hanno bisogno perché i reparti Covid cominciano a riempirsi. Con la curva attuale dei contagi, avremo a breve più di 100-150 ricoveri al giorno in terapia intensiva. Bisogna allargare i reparti Covid, ma ciò avverrà a scapito di altri reparti, con personale che verrà dirottato lì da altri settori».
Ma cosa avverrà se queste misure non dovessero dimostrarsi efficaci? Secondo Palermo «un altro lockdown completo sarà inevitabile. Bisogna però pensare a riattivare tutta la fase territoriale. L’elemento cruciale è infatti mantenere le attività sul territorio, a casa, e dare ampia possibilità di test, anche quelli rapidi. Per questo trovo strana e insensata la richiesta avanzata dalle Regioni di limitare i tamponi ai sintomatici: abbiamo bisogno di individuarli, gli asintomatici, per metterli in quarantena ed interrompere le catene di contagio. Per quanto riguarda la parte ospedaliera, invece, è necessario assumere altri professionisti. In ogni caso – conclude Palermo – dobbiamo sperare che l’arma terapeutica arrivi il prima possibile».
Per il Presidente Nazionale dell’Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani, Alessandro Vergallo, è ancora presto per fare previsioni: «Qualunque manovra restrittiva che mira al contenimento dei contagi produce i suoi effetti a distanza di almeno due settimane. Noi temiamo però che, considerata l’attuale curva dei contagi, queste misure possano non essere sufficienti».
Secondo Vergallo siamo arrivati alla seconda ondata «assolutamente impreparati», e si dice molto «rammaricato e infastidito dall’allentamento dell’attenzione che si è avuto in Italia durante i mesi estivi. Comparsate televisive di politici ed esponenti del mondo scientifico hanno favorito una falsa percezione di scampato pericolo, e questo ha contribuito a buttare all’aria tutti i sacrifici fatti. E con una malattia dalla contagiosità così elevata, basta una ristretta minoranza di popolazione che non rispetta le regole per mettere a rischio tutti».
«Il settore sanitario – spiega ancora Vergallo – è quello che fa fronte al pericolo quando questo si concretizza nella malattia. Noi, come anestesisti-rianimatori, siamo l’ultimo baluardo di difesa. Lo diciamo da tempo: se la curva non si inverte, è chiaro che andremo a saturazione nel giro di un paio di settimane, non di più».
Claudio Cricelli, Presidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie, non commenta il merito delle decisioni prese con il DPCM (orari di chiusura delle attività, settori interdetti al pubblico, ecc.) perché «non si può parlare solo dell’aspetto normativo e non di tutta la situazione, di dove ci troviamo e cosa sta per succedere. Si potrebbe pensare, sbagliando, che quanto stabilito dal Governo riguardi la situazione attuale. Le norme del DPCM si riferiscono a quel che sta per arrivare».
«Un esempio su tutti: nelle prossime settimane cominceremo a vedere i primi casi di influenza. E quindi, cosa succederà da qui al 24 novembre, giorno in cui dovrebbe terminare la validità del Decreto? Avremo milioni di persone che accuseranno sintomi come tosse, raffreddore e febbre. E se uno o due anni fa questo non era un problema, lo sarà ora che uno qualsiasi di questi sintomi metterà tutti in allarme per presunto caso Covid».
Le malattie invernali colpiscono ogni anno in Italia decine di milioni di persone. E anche se l’influenza stagionale forse sarà un po’ meno diffusa rispetto agli anni precedenti (grazie a distanziamento e mascherine, oltre che alle vaccinazioni), «ci ritroveremo comunque in guai seri: ammettendo che riusciremo a ridurre del 50% il numero di persone colpite dall’influenza stagionale – spiega Cricelli –, e quindi passare, per dire, da 20 milioni di casi a 10, ogni singolo caso avrà un peso specifico molto maggiore e susciterà molto più allarme. Per questo credo che misure come quelle emanate dal Governo siano necessarie. Non un lockdown totale, ovvio, ma se non avessimo fatto così ci saremmo trovati in guai molto seri».
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