«Ci saranno sanzioni per famiglie inadempienti, ma alcuni genitori preferiscono pagare la contravvenzione che tornare sui propri passi» l’intervista al Presidente della Società Italia d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica
Il 10 marzo è scaduto il termine per la consegna dei certificati vaccinali nelle scuole. In queste ore l’Istituto Superiore di Sanità sta raccogliendo i dati di adesioni e inadempienze al decreto stabilito dal Ministro Lorenzin il 31 luglio scorso. Ad una prima analisi, l’attesa soglia del 95% di copertura sembrerebbe raggiunta a pieni voti, almeno per l’esavalente, che, prima dell’obbligo vaccinale era scesa al 93% suscitando la preoccupazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che aveva lanciato l’allarme. Per il morbillo la crescita è stata del 6%, tuttavia ancora la soglia non è sufficiente per raggiungere l’immunità di gregge. In linea di massima l’Italia torna sulla buona strada e si adegua ai numeri degli altri paesi dell’Unione Europea, ma come si sono comportate le singole Regioni nell’esecuzione dell’obbligo? «La prontezza del Paese a reagire positivamente alla legge è stata sorprendente, a parte qualche sacca di resistenza rimasta irremovibile…» lo dichiara ai nostri microfoni Fausto Francia, Presidente della Società Italia d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica.
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All’indomani del 10 marzo, possiamo tracciare un bilancio Regione per Regione rispetto all’aderenza al decreto legge? Ci sono regioni più virtuose e altre meno?
«Difficile dire quali siano le regioni che hanno meno aderito all’obbligo, visto che i dati sono stati forniti dalle più virtuose, tuttavia possiamo tracciare una prima valutazione: in Emilia Romagna sono aumentati i dati di copertura, come anche in Veneto, Puglia e nella città metropolitana di Milano. È bene però fare una precisazione: è sbagliato parlate di ‘regione’, è corretto invece parlare di ‘area’. Mi spiego meglio: per esempio nella regione estremamente virtuosa dell’Emilia, l’area di Rimini è sempre stata storicamente refrattaria alle vaccinazioni e continua ad esserlo, infatti la città è al di sotto del 95% pur facendo parte di una regione che ha raggiunto ottimi livelli. Altra area problematica in tal senso è il Trentino Alto Adige, dove resistono sacche robuste di no vax che inevitabilmente condizionano il raggiungimento dell’obiettivo. Quindi direi che in conclusione c’è stato un aumento su tutto il territorio nazionale, con qualche eccezione in alcune aree all’interno delle singole regioni, ma sono piuttosto confidente nel dire che nessuna regione si è distinta scandalosamente per non aver rispettato la legge. Mi aspetto che tutte le regioni siano sopra il 90%».
Per quanto riguarda le frange no vax abbiamo dei numeri?
«Non abbiamo ancora dei dati certi, noi del SITI a fine febbraio abbiamo redatto un bilancio provvisorio da cui risulta che orientativamente in Italia i bambini non vaccinati sono circa 30mila, numero che corrisponde all’1% della popolazione da 0 a 6 anni».
L’1% è una stima preoccupante?
«Direi di no, si tratta di un numero fisiologico, ossia anche nei paesi più virtuosi in cui si arriva alla soglia del 97/98%, c’è quasi sempre la percentuale dell’1% di reticenti. L’importante in ogni caso è arrivare sopra il 95% che è il valore che permette di avere la famosa copertura di gregge. C’è inoltre da considerare che in questa percentuale dell’1% ci sono anche bambini che non vanno a scuola per scelta dei genitori, che studiano presso le scuole familiari, insomma non tutti sono iscritti alla scuola dell’obbligo. Per quanto riguarda invece i bambini iscritti alla scuola dell’obbligo, ritengo che trascorsi questi mesi, se i genitori non hanno voluto vaccinare, continueranno a non farlo preferendo pagare la contravvenzione che sarà sicuramente applicata ai minimi per una questione d’impatto nei confronti della popolazione. Infatti ritengo che una prima tornata vaccinale come questa, innegabilmente molto complessa da gestire, sia andata sin troppo bene per quella che era la previsione iniziale. Inoltre c’è da tener conto che esistono diversi livelli di adesione e non adesione: ci sono persone che su dieci vaccinazioni non hanno fatto il richiamo soltanto per una e coloro che invece sono del tutto inadempienti».
Lei ritiene che la comunicazione da parte delle istituzioni sia stata efficace? Inoltre, in termini logistici le Asl hanno saputo gestire l’emergenza?
«In termini di comunicazione si sono fatti grandi passi in avanti, basta pensare che dieci anni fa il vaccino era solo ‘un’iniezione’, adesso invece c’è una maggiore consapevolezza e si richiedono maggiori informazioni. Di conseguenza il personale che lavora presso gli ambulatori deve obbligatoriamente migliorare le proprie capacità dialettiche per fornire tutte quelle informazioni richieste. Oggi i vaccini sono considerati un intervento medico complesso che prevede conoscenze approfondite, infatti molti medici come cardiologi, nefrologi, internisti (ovviamente non quelli che lavorano nei centri vaccinali) si rifiutano di vaccinare perché ritengono di non essere in grado di dare corrette informazioni ai cittadini. Per quel che riguarda i disservizi non posso negare ci siano stati, ma posso dire che sono rimasto sorpreso positivamente dalla capacità di reazione delle Regioni e di tutto il territorio nazionale; la legge è stata approvata il 31 luglio scorso, con in mezzo agosto quando i sevizi sono dimezzati, e doveva mettere d’accordo il Ministero della Salute e quello dell’Istruzione. Eppure, tranne sporadiche situazioni, nella stragrande maggioranza dei casi la risposta è stata efficace. Ovviamente si poteva far meglio come sempre, ma bisogna dire che c’è stato un grande impegno per produrre, con il minimo disagio, un servizio rivolto a tutti».