Sesti (Simi): “Ogni volta che viene immesso sul mercato un nuovo farmaco per il trattamento di polipatologie, oltre agli specialisti di settore, l’Agenzia italiana del farmaco Aifa chiede sempre il parere dell’internista”
“L’obesità è una questione da internisti. Non si tratta di una malattia sola, ma di più patologie in una, che colpiscono organi diversi. Ed è l’internista lo specialista che, nella pratica clinica di tutti i giorni, più di tutti gli altri diagnostica, tratta e segue tutti i fattori di rischio e le condizioni trasversali all’obesità”. Ne è convito Giorgio Sesti, presidente della Società italiana di medicina interna (Simi), che, in vista del 125esimo Congresso nazionale della Società che si terrà a Rimini dal 20 al 22 ottobre 2024, parla dell’obesità, delle sue complicanze e dei trattamenti di ultima generazione. Gli internisti, infatti, rivendicano anche un’altra prerogativa: essere gli specialisti più “titolati” ad usare i nuovi farmaci antidiabetici a effetto dimagrante ed a trattare tutte le complicanze e comorbilità correlate all’obesità. “Come ricorda anche il logo della nostra società scientifica, ‘In uno omnia’, l’internista racchiude in un solo medico tutte le specialità”, sottolinea Sesti.
Non è autoreferenzialità, precisa, considerando che “ogni volta che viene immesso sul mercato un nuovo farmaco per il trattamento di polipatologie, oltre agli specialisti di settore, l’Agenzia italiana del farmaco Aifa chiede sempre il parere dell’internista, lo specialista delle polipatologie e della complessità”. Un ambito nel quale “l’obesità – osservano gli esperti Simi – da disciplina un po’ negletta, considerata spesso solo un problema estetico se non di ‘scarsa volontà’, è balzata negli ultimi tempi agli onori della cronaca. Non solo per i suoi numeri da capogiro – ci convivono oltre un miliardo di persone nel mondo e più del 10% degli italiani, cioè quattro milioni di connazionali, mentre altri 17 milioni sono in sovrappeso -, ma anche perché finalmente i medici hanno a disposizione farmaci realmente efficaci per trattare l’obesità e il sovrappeso”. Terapie che mimano l’azione di ormoni intestinali naturali (Glp-1 e Gip), promettendo inoltre un buon profilo di sicurezza.
“Come spesso accade in medicina – riflette Sesti – la scoperta di nuovi farmaci fa accendere i riflettori su patologie e vie metaboliche prima un po’ trascurate, per il fatto che fossero sostanzialmente orfane di terapie. Gli esempi vanno dalla scoperta delle statine per il trattamento del colesterolo alto, agli Ace-inibitori per il trattamento della pressione. Adesso è il momento degli analoghi recettoriali del Glp-1 e dei dual agonist (analoghi recettoriali di Glp-1 e Gip) per il trattamento dell’obesità”. Molecole che “si stanno rivelando sempre più multitasking, in grado cioè – ricorda la Simi – oltre che di curare diabete e obesità (quello per cui sono nati), anche di fare da ‘scudo’ alle malattie cardiovascolari, all’insufficienza renale, alle epatopatie croniche, a tanti tumori, alle apnee da sonno, alla degenerazione artrosica delle articolazioni e forse anche alle demenze e al Parkinson. E non passa giorno senza che questo elenco non si allunghi”.
“Il vero elemento di novità che stiamo scoprendo di giorno in giorno – illustra Sesti – è che questi farmaci non fanno solo quello per cui erano stati messi a punto, cioè trattare il diabete di tipo 2 migliorando la secrezione insulinica, e trattare l’obesità rallentando lo svuotamento gastrico e agendo sui centri cerebrali della fame e della sazietà. Gli studi condotti in questi anni hanno dimostrato che questi farmaci hanno anche effetti di protezione cardiovascolare (riducono l’aterosclerosi, la pressione arteriosa e l’assorbimento post-prandiale dei lipidi, migliorano l’azione cardiaca) e renale (riducono la perdita di proteine con le urine e il declino della funzionalità renale)”. E poi “c’è tutta una costellazione di nuove osservazioni su effetti benefici che si estendono ad altri organi e apparati”. Ad esempio “sono in corso numerosi trial clinici per valutare i loro effetti su demenza e Parkinson”, e “molto interessante è il filone di studi sulla steatosi epatica” o fegato grasso, in cui “questi farmaci non si limitano a ridurre l’infarcimento di grasso nell’organo, ma limitano la progressione del danno epatico verso la fibrosi e la cirrosi”. I nuovi antidiabetici dimagranti “sembrano proprio la ‘bacchetta magica’ a misura di internista”. Per trattare una condizione, l’obesità, che “non è solo un fattore di rischio – conclude Sesti – ma una vera e propria malattia, cronica, ingravescente, recidivante, circondata da una costellazione di altre patologie”.
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