Anche se si tornasse al lockdown, non sarebbe quello di sei mesi fa. Il direttore della regione Europea Oms parla di aumento esponenziale dei casi, ma mortalità ancora bassa
«Momento di pandemia non significa necessariamente momento oscuro per tutti». Hans Kluge, direttore Oms per la regione europea, ha deciso di aprire così il meeting con la stampa dell’Organizzazione mondiale della Sanità per fare un punto sul coronavirus. Dati alla mano, Kluge ha parlato di una «situazione che ci preoccupa molto», ma ha anche ribadito che il mondo adesso è molto più preparato a quello che verrà.
«Questa settimana c’è stato un incremento esponenziale nei nuovi casi e nei nuovi decessi – ha ribadito -. I numeri giornalieri dei casi sono in salita così come i ricoveri in ospedale e Covid-19 è attualmente la quinta causa di morte in Europa. Questa settimana c’è stata la più alta incidenza di nuovi casi da quando la pandemia è iniziata, in Europa. Da 6 a 7 milioni di casi riportati in soli 10 giorni. Nel weekend per la prima volta superato un milione e 200mila casi». Di fronte a questi dati la domanda arriva spontanea: l’autunno e l’inverno riproporranno quello che è successo in primavera?
«Non siamo tornati a metà marzo – rassicura Kluge – nonostante registriamo da due a tre volte più casi rispetto al picco di aprile, osserviamo comunque cinque volte meno decessi, anche se il virus non è diventato meno pericoloso». Ci sono quelle che il direttore regionale chiama «ragioni tecniche» per il rialzo dei casi.
Innanzitutto il numero di test effettuati, mai così alto. Tamponi e test che tracciano specialmente giovani, in fasi quasi asintomatiche per lo più. «Anche la mortalità più bassa – prosegue – si spiega con la maggiore incidenza del virus in soggetti meno vulnerabili e giovani». A cui si aggiunge una «migliore capacità di gestire i casi più gravi e la conseguente capacità di evitare i decessi». Questo porta a una curva epidemiologica più bassa e meno fatale, «per ora, in quanto si potrebbe tornare alla situazione di prima se il virus tornasse a infettare anziani in casa».
Kluge invita i governi europei a non risparmiarsi nelle misure e a non perdere il polso con i propri cittadini. «Misure troppo rilassate per lunghi periodi di tempo potrebbero portare per gennaio 2021 la mortalità a livelli da 4 a 5 volte maggiore di aprile 2020. Ma le nostre rilevazioni mostrano anche come misure semplici come mascherine indossate dal 90% della popolazione (ora 60%) e distanziamento sociale potrebbe salvare 280mila vite in Europa», osserva.
«La pandemia non si risolverà da sola, lo faremo noi con i nostri comportamenti», aggiunge rivolgendosi direttamente alla popolazione europea. Tra le misure restrittive rientra, quindi, anche il lockdown? Dall’essere totalmente escluso qualche settimana fa, ieri anche in Italia il premier Giuseppe Conte ha ammesso che dai comportamenti dei cittadini si determineranno le future decisioni.
«Il lockdown di sei mesi fa era uno shutdown. C’erano confini chiusi, niente scuole, negozi e ristoranti chiusi, nessuna attività» spiega Kluge. «A marzo il lockdown era un’opzione di default perché siamo stati colti di sorpresa. Ora lockdown significa un’escalation fatta per gradi di misure proporzionate, circoscritte e limitate nel tempo. In cui tutti noi siamo coinvolti come individui e come comunità tutta per minimizzare il danno collaterale su società, economia e salute».
A conclusione del suo discorso Kluge si concentra proprio sugli effetti collaterali che la pandemia sta avendo sul mondo. A partire dalla violenza domestica, che obbliga a mantenere sempre attivi i servizi sociali. Attraverso il disagio degli studenti, per cui ognuno di noi dovrà fare dei sacrifici affinché le scuole non tornino a chiudersi. E gli altri problemi sanitari, come cancro, immunizzazione e malattie cardio-vascolari. Fino alla grande cura che ogni Paese dovrà provare di riservare ai lavoratori della salute, tramite compensi adeguati e protezione fisica e mentale.
Proprio sulla salute mentale, il presidente regionale si conferma per riconoscere le difficili condizioni della “pandemic fatigue“, la generale stanchezza da pandemia. Non una condizione fisica, ma appunto una condizione mentale che porta i soggetti di una condizione straordinaria come la crisi attuale a reazioni che vanno dalla depressione e chiusura in sé stessi fino al rifiuto delle misure in favore della disinformazione. «Ne soffre oltre il 60% dei cittadini di stati che hanno implementato regole restrittive – racconta Kluge – ed è un problema generalizzato su cui l’Oms si sta concentrando».
Il comandamento è “resistere”, «trovare sempre nuove soluzioni creative per sentirsi vicini agli altri e provare felicità». Un vero e proprio impegno a cui dedicarsi per l’inverno che verrà.
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