L’impatto sulla società della malattia del sonno diventa sempre più importante. Ai nostri microfoni lo penumologo Stefano Gasparini: «Manca una cultura generale sia per il medico che per il paziente. Occorre sensibilizzare sul problema»
Osas conta quasi 2 milioni di pazienti in Italia. Sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della diagnosi e del trattamento diventa necessità indiscutibile per il bene della comunità e a ribadire il concetto ci pensa Stefano Gasparini, Pneumologo e Professore specializzato in Malattie Respiratorie presso l’Università Politecnica Marche e Presidente Nazionale Aipo (Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri).
Le malattie respiratorie del sonno hanno un impatto sociale sempre più importante. Come si affrontano e quale è il livello di consapevolezza dei medici e dei cittadini?
«Osas è un capitolo relativamente nuovo. In realtà la malattia del sonno esisteva anche in passato, basta pensare alla ‘Sindrome di Pickwick’, definita dal nome di un personaggio di Dickens, il cocchiere che si addormentava sulla sua carrozza per la sonnolenza notturna. Di questa sidrome se ne parlava secoli fa, oggi sebbene la patologia sia stata studiata e analizzata comunque ritengo che sia ancora sottovalutata. Purtroppo vi è una grossa parte sommersa di questa patologia, di soggetti che hanno problemi durante il sonno e che non hanno ancora sviluppato sintomi diurni. Questi soggetti a rischio, possono essere causa di infortuni stradali e infortuni sul lavoro. Per sollevare questa parte nascosta dell’iceberg, c’è bisogno di tante azioni, la prima è quella educativa, molti medici, molti specialisti non conoscono queste problematiche. Ci sono pazienti che sono curati per anni per disturbi cardiaci, ad esempio fibrillazione atriale, alla cui base c’è un disturbo respiratorio del sonno che però non viene rilevato. Detto questo arriviamo al punto dell’educazione, nei corsi di medicina e chirurgia si parla un’ora o due ore di queste problematiche e questo è un serio problema. Dobbiamo adeguare anche i programmi educazionali sia del corso di laurea che delle scuole di specializzazione comprendendo che questa è una patologia importante che nei prossimi anni avrà un impatto epidemiologico ancora maggiore e dobbiamo formare operatori sanitari ad affrontare nel migliore dei modi il problema»
La ricerca e la medicina hanno fatto grandi progressi su questo tema, nel campo tecnologico e della diagnosi quali le novità più rilevanti?
«Oggi è possibile diagnosticare queste patologie con semplici monitoraggi che possono essere fatti a domicilio del paziente. La telemedicina può svolgere un ruolo importante, in Italia siamo un po’ indietro purtroppo ma la telemedicina oggi è applicata in tantissime condizioni ad esempio nel monitoraggio della insufficienza respiratorie, nelle bronco bremopatie cronico ostruttive, in tante patologie croniche, potrebbe sicuramente alleggerire i costi e gli aggravi per le strutture sanitarie, però su questo c’è ancora molto da lavorare perché nel nostro paese, tranne alcune sporadiche isole dove queste esperienze vengono sviluppate in maniera più approofndita, manca una cultura generale che consenta di incentivare i collegamenti telematici tra domicilio e strutture sanitarie»