La patologia delle apnee notturne è un problema che affligge circa 2 milioni di italiani. L’Osas può aggravare le condizioni di salute di pazienti che soffrono di altri problemi, quali per esempio ipertensione cardiaca e malattie renali croniche. La patologia è strettamente connessa al rischio di incidenti stradali in considerazione dell’eccessiva sonnolenza diurna causata da un malsano riposo notturno. A parlare della malattia Francesco Tavalazzi, specialista in malattie dell’apparato respiratorio presso il Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna.
Osas ha un’incidenza sociale molto alta, i dati parlano di 2 milioni di italiani che ne soffrono, come si affrontano diagnosi e percorso terapeutico?
«Il problema della sindrome delle apnee ostruttive è di estrema rilevanza sociale. Recentemente è uscito uno studio a livello internazionale molto famoso che ha esaminato una coorte di popolazione ampia, oltre 2mila pazienti, ed è emerso che ad avere un disturbo di entità moderata è quasi il 50% dei soggetti di sesso maschile e il 27/28% di sesso femminile. Quindi il problema è di rilevanza sociale e allo stato attuale i sistemi sanitari sia pubblici che privati sono in grado di individuare solo una parte minima di persone che ne soffrono. Spesso Osas non si manifesta con sintomi eclatanti, è più spesso il partner di letto che si accorge che il compagno fa pause respiratorie durante il sonno e lo porta dal medico. Dopo che il sospetto clinico è stato confermato è necessario procedere con una diagnostica strumentale che prevede l’impiego di sensori durante il sonno che vadano a documentare l’andamento del sonno per stabilire la gravità del disturbo».
Quindi dopo l’individuazione del problema si passa agli esami strumentali che sono abbastanza complessi. Lei crede che il servizio sanitario pubblico sia in grado di sostenere e fronteggiare il problema?
«Assolutamente no, il servizio sanitario pubblico non è in grado di far fronte alla mole dei pazienti. Bisognerebbe pensare a dei modelli organizzativi volti a ricercare, soprattutto nelle popolazioni che sono ad alto rischio di Osas, degli strumenti o dei percorsi preferenziali ma con una implementazione di risorse che attualmente non sono disponibili».
Attualmente esistono diverse tecnologie sia per la diagnosi che per i trattamenti, questi progressi possono aiutare a rendere più semplice e più capillare la diffusione di diagnostiche e terapie?
«Assolutamente sì, basta pensare che fino a vent’anni fa nei centri specialistici per la diagnosi dell’Osas era dedicato un apparato che occupava praticamente una stanza intera. Ora con la digitalizzazione e l’informatizzazione gli apparecchi sono di modeste dimensioni e il paziente può utilizzarli in casa grazie all’ausilio del pc e ovviamente lo scarico dei dati avviene in maniera molto più rapida e semplice. La tecnologia è di aiuto sia nella fase diagnostica che nello sviluppo di nuove terapie, però ovviamente il problema grosso è sempre la mole di pazienti».
Osas ha una ricaduta anche sul fronte della guida in automobile, sembra che quasi il 2% di incidenti sia dovuto a questo problema?
«Il problema dell’aumentato rischio di incidenti stradali sul lavoro è correlato al fatto che alcuni pazienti Osas soffrono di sonnolenza durante il giorno, di conseguenza questo può portare a episodi di addormentamento o di ritardo nei tempi di reazione. Ma l’importante ripercussione sulla salute è legata soprattutto al fatto che questa è una patologia che può avere un impatto negativo per quanto riguarda problematiche cardiovascolari, metaboliche, quindi rischio di ipertensione, infarti, ictus e diabete. Quindi è fondamentale la diagnosi e il trattamento per curare i pazienti che hanno sintomi ma anche quelli che non hanno sintomi a scopo preventivo per evitare che possano insorgere complicanze successive».
Un ruolo fondamentale è quello dei medici di base, quindi formazione e aggiornamento che importanza hanno in questa ottica?
«Un’importanza fondamentale, infatti un medico di base, stando su stime minime, dovrebbe in media avere sui 50 o 60 pazienti affetti da Osas. Io non credo che se si facesse un questionario Osas a medici generici questi risponderebbero con cognizione. Ovviamente, se non parte il sospetto da parte del medico di medicina generale che così suggerisce al paziente di recarsi dallo specialista, l’anello comincia ad essere debole in partenza. Dunque è fondamentale il coinvolgimento del medico di famiglia e la formazione perché è da lì che parte la possibilità di individuare pazienti malati e anche a rischio».