Avrebbero dovuto attenere il riconoscimento, al pari degli ostetrici, dei tecnici di radiologia o degli infermieri, già prima di questa estate. Almeno stando alla legge 11 gennaio 2018 n. 3. Ma mancano i decreti attuativi. L’intervista a Giampaolo de Sena vice segretario del Sindacato Italiano Medici di Medicina Fisica e Riabilitativa
Manipolazioni, mobilizzazioni, micromovimenti. Così, Osteopati e Chiropratici alleviano i dolori e perfezionano le posture. Ma chi è realmente abilitato a praticare questa professione? Fino a ieri chiunque avesse frequentato uno specifico corso. Da quest’anno solo specialisti regolarmente laureati. Almeno in teoria.
Sì, perché con la legge 11 gennaio 2018 n. 3, agli articoli 7 e 8, sono state decretate due nuove professioni sanitarie: l’osteopata e il chiropratico. Negli stessi articoli sono stati determinati anche i tempi per la definizione dei profili professionali e per il riconoscimento di un corso di laurea triennale. Le scadenze erano fissate, rispettivamente, in tre e sei mesi. Il primo termine è già scaduto, per il secondo è questione di giorni. Eppure, osteopati e chiropratici sono ancora in attesa.
A che punto siamo? Lo abbiamo chiesto a Giampaolo de Sena, medico fisiatra, vice segretario nazionale Simmfir, il Sindacato Italiano Medici di Medicina Fisica e Riabilitativa.
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Dottore de Sena, la Legge 11 gennaio 2018 n. 3 (che dispone anche il riordino delle professioni sanitarie) ha determinato tempi ben precisi per la definizione della professione e del titolo di studi di osteopati e chiropratici. I termini sono stati rispettati?
«Nonostante la già avvenuta scadenza dei tempi presenti nella legge n.3 11.01.2018, ad oggi non sono stati proposti gli emendamenti previsti. Ma questa cosa non sorprende, perché i mancati decreti attuativi sono una pratica che è già stata adottata per il decreto “mille proroghe” del 2009 sull’istituzione della figura del chiropratico e, per la legge 2006, per l’istituzione degli ordini professionali».
E intanto come si accede alla professione?
«Queste due professioni, in Italia, non hanno alcun percorso ufficiale e, pertanto, sia per la osteopatia che per la chiropratica si parla di corsi privati ed extrauniversitari. Proprio per la eterogeneità della formazione, non è possibile individuare specifici percorsi formativi, pertanto non è possibile nemmeno definire con certezza le eventuali differenze tra l’osteopatia e la chiropratica. L’unica certezza è che si tratta di professioni di terapia manuale».
È possibile stabilire quanti professionisti, tra osteopati e chiropratici, operano in Italia?
«Non ci sono numeri precisi. Innanzitutto è possibile che molti tra coloro che si presentano come chiropratici o osteopati, in realtà non abbiano avuto una formazione specifica, esattamente come succede per i falsi dentisti o fisiatri o i falsi fisioterapisti. Inoltre, non sono professioni riconosciute e pertanto censite. Quello che è sicuramente vero è che oggi i numeri di queste figure professionali sono fioriti fuori da ogni controllo».
La mancanza di regole precise per la formazione crea delle difficoltà di accesso alla professione?
«No, al contrario. Queste professioni sono professioni agevolate perché non sono regolamentate da numeri chiusi, non sono previsti concorsi per l’accesso, come invece capita a medicina o a fisioterapia. Non sono da considerarsi corsi particolarmente impegnativi perché generalmente richiedono pochi weekend all’anno, circa 5 o 6, per un totale di pochi giorni di lezione. Sicuramente il costo esorbitante di questi corsi è il principale ostacolo e forse unico ostacolo alla loro frequenza».
Terminata la formazione, quali sono le criticità che ci si trova ad affrontare nel mondo del lavoro?
«Come bene indicato nelle deviazioni di tipo A della norma CEN sulla osteopatia, nel momento in cui questi professionisti accedono al mondo del lavoro, cosa che generalmente avviene in ambito libero professionale, sono a rischio di compiere atti a rischio impugnazione legale, almeno fino a quando non saranno definiti competenze e percorsi formativi».
Come risolvere queste difficoltà?
«Intraprendere percorsi formativi di “medicina alternativa” senza avere una precedente formazione “ufficiale e tradizionale” può portare a una grave limitazione di conoscenze. Il suggerimento è che l’accesso a queste professioni venga limitato unicamente a professionisti già in possesso di un titolo abilitante».