De Monte (direttore Anestesia e Rianimazione AOU Udine): «Terapia non brevettabile, ma funziona nella fase precoce». Franzini (SIOOT): «Non contraria, ma alleata ai farmaci. Apertura di AIFA»
Prosegue il dibattito sull’efficacia dell’ossigeno-ozono terapia per la cura del Covid. Se da un lato lo Spallanzani ed il comitato etico di Milano 3 non hanno accolto la sperimentazione, il primo asserendo di non avere la competenza in materia ed il secondo non rendendo note le motivazioni ai promotori del protocollo proposto dall’ospedale di Garbagnate, a Udine il professor Amato De Monte, direttore del dipartimento di Anestesia e Rianimazione, ha avuto il via libera dal comitato etico del Friuli. Positivi i risultati ottenuti: tra i 35 pazienti coinvolti non si è registrato nessun decesso e un solo caso ha avuto necessità di intubazione. Numeri indicativi ma comunque bassi per valutare l’efficacia del trattamento, che dovrebbero essere confermati da studi più ampi.
«È una terapia orfana – spiega il professor De Monte –, non ci sono ditte dietro. L’ozono terapia non può essere brevettata e quindi ha sempre avuto difficoltà ad essere accettata come un trattamento classico. Io la pratico da 25 anni e quando è arrivato a Udine il dottor Tascini, infettivologo, ho trovato un alleato perché anche lui la praticava da tempo. Avevamo ottenuto da poco l’approvazione del comitato etico per usare questo tipo di terapia nei pazienti con problemi vascolari, quando è scoppiata l’emergenza coronavirus. I posti in terapia intensiva scarseggiavano e le terapie sembravano non dare risposte soddisfacenti, allora abbiamo provato ad usare l’ozono terapia in fase precoce, ovvero nei pazienti che ancora non erano arrivati in terapia intensiva, ma che avevano bisogno di ossigeno. Questa terapia non ha effetti collaterali, dunque abbiamo provato ad applicarla con la convinzione che nella peggiore delle ipotesi non avrebbe avuto alcun effetto».
La terapia consiste nel prelievo di duecento millilitri di sangue che viene arricchito con una miscela gassosa composta dal 96% di ossigeno e dal 4% di ozono. Il sangue viene poi re-infuso, ottenendo una perfusione capillare che migliora l’ossigenazione. «Siamo partiti con l’idea di fare un trattamento al giorno per una settimana – riprende il professor De Monte -. Dopo due giorni il casco CPAP non era più necessario, al terzo la terapia poteva essere sospesa per far posto ad altri pazienti che arrivavano. Dei 35 pazienti trattati con ossigeno-ozono terapia, solo in un caso abbiamo dovuto procedere con l’intubazione, gli altri sono migliorati al punto da poter lasciare la terapia intensiva».
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Nonostante i risultati, anche l’Ospedale di Udine ha avuto qualche difficoltà ad ottenere il via libera alla sperimentazione dal comitato etico. «Abbiamo avviato uno studio randomizzato – spiega il direttore del dipartimento di Anestesia e Rianimazione – creando due gruppi, uno trattato con gli antiretrovirali e l’altro con i farmaci e l’ozono. Una volta ultimato lo studio ci siamo rivolti allo Spallanzani, ma ci è stato risposto che il protocollo non era di loro competenza e di rivolgerci all’AIFA. Anche l’Agenzia del Farmaco ha obiettato che l’ozono non è un farmaco ed ha rimandato al mittente lo studio. Il comitato etico del Friuli-Venezia Giulia allora dopo attente valutazioni l’ha approvato. Quello che doveva essere uno studio monocentrico, in realtà è diventato multicentrico e diversi ospedali si sono accodati alla nostra sperimentazione. Dopo Udine il protocollo è partito a Pordenone, Gorizia, Torino, Roma (al Celio), Vercelli, Foggia e a breve Siracusa».
Ora il Covid fa meno paura, ci fa intendere il professor De Monte. «Se dovesse tornare in autunno noi lo affronteremo con un ciclo di ossigeno-ozono terapia nei pazienti con presenza di polmonite e in difficoltà respiratoria fino alla classe 4, che corrisponde alla pre-intubazione. Questo diventerà il trattamento standard prima di entrare in terapia intensiva».
Da nord a sud tante sono le realtà che stanno applicando il protocollo avviato dal professor De Monte per la cura del Covid con ozono terapia, a cominciare dal Policlinico Riuniti di Foggia, dove hanno evidenziato una maggiore efficacia nel trattamento precoce della malattia.
«Abbiamo elaborato un protocollo ben preciso selezionando i pazienti non intubati – ci spiega il dottor Leonardo Consoletti, che dirige il dipartimento della Medicina del Dolore dell’Ospedale di Foggia – ed abbiamo ottenuto la possibilità di attivarlo per uso compassionevole dal comitato etico». «Abbiamo incominciato con chi aveva insufficienza respiratoria – aggiunge la professoressa Lucia Mirabella, del dipartimento delle Scienze Chirurgiche –, pazienti non intubati ma con polmonite da Covid. Fino ad oggi abbiamo trattato sette pazienti con la tecnica dell’autotrasfusione e abbiamo avuto un riscontro positivo in tutti, perché abbiamo notato una diminuzione degli indici di infiammazione».
Nelle ultime ore segnali di apertura sembrano arrivare anche dall’AIFA. La notizia di una possibile sperimentazione monitorata proprio dall’Agenzia Italiana del Farmaco è stata data dal presidente della Società scientifica di ossigeno-ozono terapia Marianno Franzini: «Da una dichiarazione del Presidente sembra abbiano intenzione di fare una sperimentazione con l’ossigeno-ozono terapia, facendo praticamente quello che abbiamo fatto noi, ovvero confrontando pazienti che fanno solo terapia farmacologica e altri che fanno terapia farmacologica più ozono, dunque nei prossimi giorni presenteremo il nostro protocollo. Voglio ribadire che l’ossigeno-ozono terapia non è alternativa alla cura farmacologica, ma complementare. Questo è un concetto fondamentale perché riteniamo che l’ozono potenzi gli effetti del farmaco».
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