L’appello di Papa Francesco nel messaggio per la 28° Giornata Mondiale del Malato che si celebrerà il prossimo 11 febbraio. Critica l’Associazione Luca Coscioni: «Il medico ha il dovere di intervenire, secondo la volontà manifestata dal malato, per sedarlo e consentire una morte non dolorosa»
«Cari operatori sanitari, ogni intervento diagnostico, preventivo, terapeutico, di ricerca, cura e riabilitazione è rivolto alla persona malata, dove il sostantivo “persona”, viene sempre prima dell’aggettivo “malata”. Pertanto, il vostro agire sia costantemente proteso alla dignità e alla vita della persona, senza alcun cedimento ad atti di natura eutanasica, di suicidio assistito o soppressione della vita, nemmeno quando lo stato della malattia è irreversibile». A dirlo è Papa Francesco nel suo discorso agli operatori della sanità in occasione della 28° Giornata Mondiale del Malato che si celebrerà il prossimo 11 febbraio.
«Nell’esperienza del limite e del possibile fallimento anche della scienza medica di fronte a casi clinici sempre più problematici e a diagnosi infauste – avverte il pontefice – siete chiamati ad aprirvi alla dimensione trascendente, che può offrirvi il senso pieno della vostra professione. Ricordiamo che la vita è sacra e appartiene a Dio, pertanto è inviolabile e indisponibile. La vita va accolta, tutelata, rispettata e servita dal suo nascere al suo morire: lo richiedono contemporaneamente sia la ragione sia la fede in Dio autore della vita».
«In certi casi – osserva Papa Bergoglio – l’obiezione di coscienza è per voi la scelta necessaria per rimanere coerenti a questo “sì” alla vita e alla persona. In ogni caso, la vostra professionalità, animata dalla carità cristiana, sarà il migliore servizio al vero diritto umano, quello alla vita. Quando non potrete guarire, potrete sempre curare con gesti e procedure che diano ristoro e sollievo al malato».
«Purtroppo – aggiunge poi – in alcuni contesti di guerra e di conflitto violento sono presi di mira il personale sanitario e le strutture che si occupano dell’accoglienza e assistenza dei malati. In alcune zone anche il potere politico pretende di manipolare l’assistenza medica a proprio favore, limitando la giusta autonomia della professione sanitaria. In realtà, attaccare coloro che sono dedicati al servizio delle membra sofferenti del corpo sociale non giova a nessuno».
LA REAZIONE DI MINA WELBY
«La professionalità medica prevede l’attenzione anche al malato in condizioni non più gestibili dal punto di vista della guarigione e del sollievo dalla sofferenza: in questa fase, è compreso anche il suicidio assistito che io preferisco chiamare morte volontaria assistita, richiesta dal malato terminale e rispetto alla quale il medico ha il dovere di agire». È quanto sottolinea Mina Welby copresidente dell’Associazione Luca Coscioni, commentando all’AdnKronos il messaggio di Papa Francesco.
«Esistono diversi metodi, non solo la prescrizione o la somministrazione di un medicinale che provoca la morte – ricorda Mina Welby – ma c’è anche l’interruzione di terapie che la stessa Chiesa appoggia e prevede, lì dove il malato può rifiutare trattamenti sanitari non più utili per il suo benessere e cura o per superare le sofferenze non più arginabili, ovvero il cosiddetto accanimento terapeutico: il malato può chiedere di interrompere questi trattamenti e i medici possono e devono farlo, come è stato il caso di mio marito Piergiorgio Welby. È il malato che deve chiederlo, non è il medico che deve decidere o che può rifiutarsi di agire: non si provoca la morte, ma si accetta di non poterla impedire».
Mina Welby ricorda che «quando non esistevano la nutrizione o la respirazione artificiale, il malato doveva morire per la sua malattia, per le sue condizioni fisiche; è stato aiutato dalla scienza e dalla tecnologia a ‘riprendere’ la sua vita con la resilienza rimasta nella persona malata: ma il malato ha tutto il diritto di interrompere queste terapie, compresa l’alimentazione e l’idratazione artificiale; e il medico ha il dovere di intervenire in tal senso, secondo la volontà manifestata dal malato, per sedarlo e consentire una morte non dolorosa».
In altri casi, «come in quello di DjFabo, una morte lenta sarebbe stata dolorosa, anche per i suoi familiari; dunque, era necessario procedere come è stato fatto. Anzi, sarebbe stato molto meglio per lui non avere fra le mani il pulsante con il quale ha liberato la sostanza che poi è entrata nelle sue vene, ma che questa fosse stata somministrata da un medico, come prevede il ricorso all’eutanasia».
Per questo motivo, spiega Mina Welby criticando questo passaggio del messaggio di Papa Francesco, «sono favorevole a una legge che regolamenti sia l’eutanasia che il suicidio assistito o ancora meglio la morte volontaria assistita, senza per questo prevedere una libertà assoluta del malato ma valutando le diverse situazioni, senza dare spazio a chi anche in Italia, ne sono convinta, agisce fuorilegge per soldi, come avveniva per le interruzioni di gravidanza prima della legge sull’aborto».