La psicoterapeuta elenca i sintomi del burnout genitoriale: «A livello fisico, alterazione sonno-veglia, mal di testa e dolori gastro-intestinali. A livello psichico, invece, è possibile sviluppare fantasie di fuga, distanziamento emotivo dai propri figli e un’accresciuta irritabilità. Nei casi più gravi, trascuratezza, violenza e abusi»
Sono il primo pensiero del mattino e l’ultimo prima di addormentarsi. Sono i figli per i propri genitori. Ma cosa accade quando questo pensiero diventa così invadente da non riuscire a fare altro senza percepirne il peso? E se essere genitori da una delle esperienze più belle si trasforma nell’incubo peggiore della propria vita? È probabile che il parental burnout abbia preso il sopravvento.
«Tipico delle professioni di aiuto, il burnout si manifesta attraverso un grave affaticamento, causato dalla difficoltà di gestire un elevato carico di lavoro – spiega Mirta Mattina, psicologa e psicoterapeuta, referente dell’Ordine degli Psicologi del Lazio per la psicologia perinatale -. Alterazione sonno-veglia, mal di testa, dolori gastro-intestinali, sono tra le principali manifestazioni di malessere fisico. Anche le mamme e i papà sovraccarichi di fatica e responsabilità genitoriali possono patire gli stessi sintomi. A livello psichico, invece, è possibile che sviluppino fantasie di fuga o di abbandono. Possono manifestarsi pure un distanziamento emotivo dai propri figli ed un’accresciuta irritabilità. Nei casi più gravi – sottolinea la psicoterapeuta – il parental burnout può indurre a trascurare la propria prole o sfociare in episodi di violenza e di abuso nei confronti dei propri figli.
Non tutte le sensazioni di sovraccarico genitoriale sono riconducibili al burnout: «Avere dei sentimenti ambivalenti verso i propri figli, sia positivi che negativi, provare percezioni sgradevoli come la fatica, la tristezza o la voglia di allontanarsi, fino a sensazioni più estreme come quelle di odio, in alcuni momenti della vita, può essere del tutto normale – spiega Mattina -. La genitorialità è un’esperienza umana complessa e, come tale, porta con sé una quantità molto ampia di vissuti che non dobbiamo avere paura di nominare, che siano essi piacevoli o spiacevoli».
I genitori, spesso, vivono in equilibrio precario tra pretese esterne e responsabilità, comprese le aspettative che essi stessi ripongono su di sé, e le risorse che hanno effettivamente a disposizione. Quando tra richieste e risorse c’è uno squilibrio cronico può verificarsi un burnout parentale.
L’attuale pandemia ha messo a dura prova la salute psichica della popolazione in generale, avendola esposta a numerose tipologie di stress, burnout compreso. «Ma le famiglie con bambini piccoli – dice la psicoterapeuta – sono state, senz’altro, quelle che hanno dovuto affrontare le sfide più dure: l’emergenza da Covid-19 ha acuito quelle difficoltà che già avrebbero dovuto affrontare in situazioni di normalità, come l’isolamento sociale, il sovraccarico del lavoro di cura e l’assenza di supporto esterno».
La pandemia ha pure confermato altre criticità del welfare italiano: «L’Italia non è un Paese per genitori, soprattutto non è un Paese per mamme – sottolinea Mattina -. Anche i posti di lavoro persi in questo anno di emergenza lo confermano: sono soprattutto le donne ad aver dovuto rinunciare alla propria carriera per prendersi cura dei propri figli rimasti a casa a frequentare lezioni a distanza, privati di qualsiasi attività o relazione al di fuori delle mura domestiche».
E la situazione è ancora più difficile all’interno di quelle famiglie in cui ci sono bambini fragili, affetti da gravi patologie o disabilità. «Anche in questi contesti sono quasi sempre le donne a portare tutto il peso sulle proprie spalle, ad essere, contemporaneamente, mamme e caregiver. E il carico è stato ancora più pesante negli ultimi dodici mesi, durante i quali – aggiunge l’esperta -, la sospensione dei servizi assistenziali, compresi alcuni interventi terapeutici, ha causato un peggioramento della salute fisica dei più piccoli e di quella mentale dei genitori che se ne prendono cura».
Eppure, in una società civile, le cose non dovrebbero andare proprio così.
«Un vecchio proverbio africano dice che “per crescere un bambino ci vuole un villaggio”: la vita di un bimbo e la sua evoluzione non possono ricadere esclusivamente su chi li ha messi al mondo, la società ha il dovere di contribuire alla loro crescita offrendo assistenza sanitaria, sostegno fisico e morale, educazione ed istruzione, garantendone sempre – conclude Mattina – la tutela della salute».
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