Lo specialista: «Questo generatore di impulsi è dotato di elettrodi direzionali che, inseriti con intervento chirurgico, stimolano solo un preciso versante del nucleo cerebrale, riducendo al minimo gli effetti collaterali»
Quando anche a riposo il corpo trema, gli arti si irrigidiscono, i movimenti automatici sono molto più lenti del normale, la postura è instabile e nessun farmaco riesce a migliorare i sintomi tipici di una malattia di Parkinson in stato avanzato, non tutte le speranze sono perdute.
«È possibile ricorrere all’utilizzo del pacemaker cerebrale – dice Francesco Abbate, neurochirurgo all’ospedale de L’Aquila -, un generatore di impulsi collegato a degli elettrodi che vengono inseriti, attraverso intervento chirurgico, in nuclei ben definiti dell’encefalo (soprattutto quello subtalamico, mono e bilateralmente). Gli stimoli sono controllati da un generatore esterno che ne permette adattamento e modifica».
Non è il pacemaker cerebrale in sé a rappresentare l’innovazione introdotta all’ospedale aquilano ed in altri pochi nosocomi italiani, tra cui Padova, Bologna, Bergamo, Novara, Milano e Pavia. Il valore aggiunto è rappresentato dalla tecnologia utilizzata, molto più all’avanguardia rispetto a quella finora diffusa, che consente di personalizzare la cura rilevando i segnali celebrali.
«Il pacemaker cerebrale è stato introdotto trent’anni fa, da circa due decenni in Italia – aggiunge lo specialista -. Se le strumentazione utilizzate fino a qualche anno fa permettevano di tarare solo alcuni parametri, quelle di ultima generazione sono dotati di elettrodi direzionali che permettono di stimolare un preciso versante del nucleo, riducendo al minimo gli effetti collaterali. Stimolatori ancora più sofisticati riescono a registrare l’attività elettrica cerebrale, fondamentale sia per valutare a breve, medio e lungo termine l’evoluzione della malattia, sia per permettere di adeguare la stimolazione e l’eventuale terapia farmacologia associata».
«I pazienti eleggibili sono quelli che presentano una malattia refrattaria a qualsiasi trattamento farmacologico, ammalati da almeno 5-10 anni e con un’età non superiore ai 70 anni», dice Abbate. Gli studi condotti hanno dimostrato che la stimolazione cerebrale profonda eseguita con questo sistema è efficace nel controllo del tremore essenziale, della distonia e dei sintomi della malattia di Parkinson che non possono essere controllati in maniera adeguata tramite i farmaci.
«È una grande soddisfazione – dice Abbate – osservare con i propri occhi i risultati che riusciamo a raggiungere attraverso questo tipo di generatore. Il nostro ospedale ha puntato molto sull’innovazione e sapere che abbiamo investito nella direzione giusta è gratificante. Anche dalle altre regioni italiane ci arrivano incoraggianti feedback positivi. È ovvio che la forza che ci spinge a continuare in questo complesso campo della neurochirurgia è – conclude – constatare di restituire ai nostri pazienti una qualità di vita ed un’autonomia quotidiana soddisfacenti».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato