Il dolore cronico è presente in modo disabilitante nel 70-80% dei pazienti con Parkinson. Tuttavia, viene spesso trascurato con conseguenze negative sulla gestione della malattia. Una recente revisione della letteratura scientifica, pubblicata sulla rivista The Lancet Neurology, affronta questo tema cruciale, sottolineando l’importanza della diagnosi e del trattamento del problema. Lo studio è stato coordinato da Michele Tinazzi, direttore della Neurologia B, e da Marialuisa Gandolfi della Neuroriabilitazione, entrambi dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona (Aoui) e afferenti al dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento dell’Università di Verona, in collaborazione con esperti internazionali.
Con oltre 10 milioni di persone colpite nel mondo, il Parkinson rappresenta la patologia neurologica in più rapida crescita. Oggi viene riconosciuta come una malattia neurodegenerativa sistemica, che coinvolge diverse reti interconnesse del sistema nervoso e si manifesta con una combinazione di sintomi motori (lentezza, rigidità, tremore) e non motori. Tra questi ultimi, il dolore cronico si distingue come uno dei più comuni e debilitanti, colpendo oltre due terzi dei pazienti e compromettendo significativamente la loro qualità di vita. “Abbiamo messo in luce come la gestione del dolore cronico e di altri sintomi non motori, come fatica, ansia, depressione e disturbi del sonno, sia frequentemente inadeguata” spiega Tinazzi. “Questo porta a un maggiore uso di farmaci analgesici comuni, come i farmaci antinfiammatori non steroidei, o persino cannabinoidi, nonostante manchi una solida evidenza scientifica della loro efficacia nella malattia di Parkinson”, aggiunge.
Uno degli aspetti innovativi dello studio riguarda la nuova classificazione del dolore nei pazienti con questa patologia, che distingue tra dolore cronico correlato alla malattia e dolore cronico non correlato. Questa distinzione facilita la diagnosi e la scelta del trattamento più appropriato per migliorare la qualità di vita dei pazienti. Marialuisa Gandolfi sottolinea l’importanza di un’anamnesi accurata: “Ogni volta che visitiamo un paziente con malattia di Parkinson, non possiamo limitarci a valutare i sintomi motori. I sintomi non motori, in particolare il dolore, possono influire in modo ancora più negativo sulla vita quotidiana. Riconoscerli precocemente è essenziale per intervenire in modo mirato”.
Tinazzi guida da anni il Centro regionale specializzato per la malattia di Parkinson e disturbi del movimento, all’interno dell’Aoui di Verona. Il centro è un punto di riferimento nazionale per diagnosi, cura e ricerca su queste patologie, grazie a un approccio interdisciplinare che coinvolge diverse figure professionali, sia universitarie che ospedaliere. Inoltre, il centro ha condotto numerosi studi clinici e neurofisiologici, che negli ultimi 15 anni hanno contribuito a chiarire i meccanismi del dolore cronico nella malattia di Parkinson e a sviluppare nuove strategie per la sua gestione. “L’obiettivo principale – conclude Tinazzi – è migliorare la consapevolezza tra i medici, promuovere una diagnosi più precisa e personalizzare il trattamento, per garantire ai pazienti una qualità di vita migliore e un supporto adeguato alle famiglie”.
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