L’appello di ginecologi e ostetrici: «Investire sul personale per favorire il rapporto one to one e il ripristino dell’alleanza terapeutica»
Mentre l’Italia è stretta nella morsa della denatalità facendo registrare, dati ISTAT alla mano, il dodicesimo anno consecutivo di decremento delle nascite che nel 2020 sono state solo 400mila, record negativo dai tempi dell’unità d’Italia, è facile ed immediato imputare anche questo dato all’effetto Covid. Eppure il trend negativo è ben antecedente alle pandemia, nonostante l’emergenza lo abbia esasperato, e affonda le radici in molte cause diverse, di carattere economico e sociale, ma anche sanitario, legate alla gestione dell’evento parto.
Se in alcune Regioni l’adeguato numero di risorse insieme a forti investimenti infrastrutturali e organizzativi consentono buoni esiti rispetto alla valutazione dell’evento parto, in altre Regioni le carenze di personale si ripercuotono sulla percezione dell’alleanza terapeutica, sfociando in una eccessiva medicalizzazione fino ad arrivare a quel complesso di fenomeni che molte associazioni femminili identificano come ‘violenza ostetrica’. Sanità Informazione, con l’aiuto delle principali sigle del comparto ostetrico ginecologico, ha approfondito cosa vuol dire oggi partorire in Italia.
«Prendendo in esame il mero dato numerico possiamo dire che sì, in Italia i tagli cesarei sono in diminuzione, sebbene in modo diverso tra Regione e Regione» afferma Elsa Viora, presidente AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani), associazione che ha appena inaugurato un help desk alla mail salutedonna@aogoi.it a cui le donne possono rivolgersi per avere risposte ai loro dubbi.
«I numeri vanno però contestualizzati – prosegue – e dobbiamo tener conto del fatto che in Italia c’è un livello di contenzioso molto alto in Ostetricia. Purtroppo la percezione dominante nelle donne, quella contro cui ci scontriamo ogni giorno, è che il cesareo sia la panacea per tutti i mali, che il cesareo risolva tutto. Il problema è di tipo sociale prima ancora che strettamente sanitario: contrastare questo immaginario collettivo che vede nel cesareo il modo più sicuro e indolore per mettere al mondo un figlio. Per noi operatori sanitari – aggiunge ancora Viora – la formazione e l’aggiornamento sono fondamentali: i corsi sulle emergenze in sala parto, ad esempio, sono tra quelli che più stiamo promuovendo».
«É evidente – prosegue la presidente AOGOI – che la garanzia della sua applicazione h24 è fortemente condizionata dalla carenza di personale di cui soffriamo, in particolare di medici anestesisti, un problema che in fase di pandemia si è fortemente acuito. Al di là di questo dato – osserva – credo che sia importante lavorare e sensibilizzare sul fatto che laddove la fisiologia viene rispettata, promossa e accompagnata, con un rapporto one to one tra ostetrica e partoriente, la necessità di anestesia peridurale è sicuramente inferiore. Ribadisco, fondamentale è il lavoro di assistenza e accoglienza nei confronti della donna, sicuramente più impegnativo anche in termini di risorse».
«Importante quindi lavorare su due binari – afferma Viora -. Da un lato essere nelle condizioni di poter offrire la peridurale alle donne che la richiedano, dall’altro garantire un’assistenza personalizzata alla donna con un numero di ostetriche adeguato. Lavoriamo sulla cultura della gravidanza e del parto nel rispetto della fisiologia – conclude la presidente AOGOI – per riportarla all’attenzione delle istituzioni visto anche il drammatico calo di natalità».
«È importante che la donna sappia di poter ricorrere a tecniche di partoanalgesia che afferiscono alla medicina convenzionale e alla medicina non convenzionale – spiega Silvia Vaccari, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle Ostetriche (FNOPO) -. Da Nord a Sud abbiamo strutture particolarmente avanti sul parto in acqua, come è noto l’acqua calda svolge una efficace azione antidolorifica, ma vi sono numerose altre tecniche in uso come la fitoterapia, la cromoterapia, il massaggio anche tramite il Rebozo (una lunga striscia di tessuto tradizionalmente adoperata dalle donne messicane), ma soprattutto lasciare libertà alla donna sulle posizioni da assumere per contrastare il dolore del travaglio e del parto».
«Molte Regioni, tra cui l’Emilia Romagna in cui opero – aggiunge – hanno fortemente investito sulla formazione del personale ostetrico per l’uso della medicina non convenzionale, in quanto è fondamentale che la donna possa avere un’ampia scelta tra tutte le metodiche a disposizione e per affrontare al meglio il momento della maternità. Il nostro è un ruolo di accompagnamento e guida in un percorso che deve essere intrapreso con la maggior consapevolezza possibile. Cionondimeno – precisa Vaccari – il ruolo dell’ostetrica è essenziale anche nei casi di partoanalgesia tramite anestesia peridurale, attraverso il controllo costante dei parametri della partoriente nell’ottica di quel rapporto esclusivo, one to one, che caratterizza e deve caratterizzare l’interazione ostetrica-gestante».
«Considero lo strumento del piano del parto (il documento che la gestante può redigere e consegnare all’ostetrica o alla struttura sanitaria, contenente le sue volontà riguardanti l’espletamento del parto, n.d.r.) la massima espressione di questo rapporto tra ostetrica e paziente – afferma la presidente FNOPO -. Un patto di alleanza e reciproca collaborazione tra le parti, che hanno entrambe un obiettivo comune: far sì che l’evento parto sia un’esperienza assolutamente positiva. È importante che il piano del parto venga letto e discusso insieme all’ostetrica, cui spetta il compito di accogliere le richieste della donna e della coppia ma anche – precisa – di mediare con quelle che sono le variabili in gioco che potrebbero accadere».
«Il parto a domicilio è un patto terapeutico – osserva Vaccari – ma anche un patto di solidarietà femminile. Il punto di incontro tra ciò che una donna cerca e si aspetta dalla propria esperienza di parto, e ciò che l’ostetrica può offrirle per raggiungere questi obiettivi, pur mantenendo la propria autonomia professionale, che è quella di decidere altro qualora dovessero sorgere complicanze. In Emilia Romagna, così come anche in altre Regioni, offriamo il parto a domicilio o in regime di libera professione o in regime di struttura pubblica, ma questo tipo di scelta è possibile ancora a macchia di leopardo nel nostro Paese».
«In Italia – aggiunge – si sta però ampliando la presenza delle “case maternità”, strutture gestite da una equipe di ostetriche professioniste che se da un lato offrono tutte le caratteristiche del parto in casa dall’altro sono istituite secondo le normative vigenti, come ad esempio la vicinanza ad un presidio ospedaliero. Per il parto a domicilio vero e proprio preso in carico da una professionista, è fondamentale oltre alla formazione e all’instaurarsi di un rapporto di fiducia, anche un rapporto stretto con il più vicino presidio ospedaliero e con il 118, un’anamnesi accurata sui parti della famiglia, ma soprattutto – conclude Vaccari – un’ottima capacità di valutazione del rischio che deve essere messa in atto in ogni fase del travaglio e del parto».
«L’obiettivo della partoriente e dell’ostetrica dovrebbe essere il medesimo, e cioè una esperienza di parto positiva, promuovere una buona nascita. Per tale motivo in questo dibattito sulla violenza ostetrica questi due “attori” non devono essere posti in contrapposizione – sostiene Caterina Masè, vicepresidente FNOPO -. Solo così si potranno sviluppare sinergie di cambiamento che possono assicurare un reale cambiamento nel panorama della nascita. La FNOPO desidera proprio il dialogo e l’empowerment come elementi indispensabili e fondamentali per una buona esperienza».
«L’ostetrica – continua Masè – è una figura professionale formata e aggiornata su tutte le evidenze che supportano determinate pratiche o che, viceversa, le identificano come superate. All’ostetrica il compito di coniugare ciò che è desiderato con ciò che è necessario, nel rispetto della profonda individualità e soggettività dell’esperienza di maternità e soprattutto favorendo la consapevolezza della donna nell’aderire alle scelte proposte. Tutto questo, però – osserva la vicepresidente FNOPO – si rende pienamente realizzabile solo in quei sistemi organizzativi che permettono il rapporto one to one. Ed è per questo – conclude – che investire sul capitale umano è fondamentale per personalizzare il più possibile l’assistenza».
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