«I grandi cambiamenti sociali hanno contribuito all’aumento del disagio psicologico tra anziani, adulti e adolescenti. Ma la formazione specialistica non si è adeguata ai mutamenti». L’intervista a Massimo di Giannantonio, Presidente del Collegio degli Ordinari di psichiatria
«Il disagio psicologico è in crescita. Lo dimostrano i numeri: sono aumentati i ricoveri, è salita la percentuale dell’incidenza delle psicopatologie in tutte le fasce di età e si è allungata la durata del trattamento». A lanciare l’allarme è Massimo di Giannantonio che, in qualità di presidente del Collegio degli ordinari di psichiatria, denuncia l’inadeguatezza dell’attuale formazione specialistica: «esistono nuove patologie psichiatriche che richiedono a gran voce che venga modificato radicalmente il percorso di studi dei nuovi specialisti».
Presidente di Giannantonio, a quarant’anni dall’approvazione della legge Basaglia, che ha sancito la definitiva chiusura dei manicomi, è cambiato radicalmente il modo di curare la malattia mentale. Anche le patologie da trattare non sono più quelle di una volta?
«Certamente sì. Esistono nuove patologie che si sono manifestate in seguito al cambiamento dell’organizzazione della società italiana. Pensiamo innanzitutto all’invecchiamento della popolazione: oggi trattiamo tutta una serie di patologie psichiatriche legate esclusivamente alla terza età. Il numero di pazienti anziani cresce in modo proporzionale alla longevità, un aumento che rappresenta un problema sanitario enorme. Abbiamo più pazienti e meno risorse per potercene occupare».
Gli psichiatri devono fare i conti con nuove patologie anche nelle altre fasce di età?
«La diffusione di sostanze psicoattive di ultima generazione ha costruito una nuova psicopatologia dell’età evolutiva e dell’adolescenza. Problemi che preoccupano molto gli specialisti anche per gli effetti che potrebbero avere a lunga distanza nella vita di questi individui, che saranno gli adulti del domani».
E tra gli adulti di oggi ci sono già nuovi disagi da affrontare?
«Non va meglio. Nell’età adulta ci sono stati cambiamenti importanti legati soprattutto alla crisi del mondo del lavoro: dalle famiglie che hanno dovuto imparare a tirare avanti con un solo reddito, alle giovani coppie che non possono formare un proprio nucleo familiare perché disoccupate. Tutto ciò costruisce una bomba che diffonde il disagio psicologico tra tutti gli strati sociali».
Anche le nuove tecnologie contribuiscono ad innescare questo esplosivo?
«Senza dubbio. Oggi trattiamo molti casi di psicopatologie legate all’utilizzo di nuove tecnologie. Le persone si racchiudono in se stesse, sfuggono alla relazione con l’essere umano, si costruiscono uno scudo virtuale che diventa una frattura tra ciò che si è e ciò che si vuole essere. Un rifugio che si trasforma in dipendenza perché, molto spesso, rappresenta l’unico contatto che questi soggetti riescono ad avere con il mondo. Ma questo contatto è manipolato, artefatto, artificiale».
Il profondo cambiamento sociale e la conseguente nascita di nuove psicopatologie hanno modificato anche la professione dello psichiatra?
«Queste nuove patologie richiedono una modifica del percorso di studi dei nuovi specialisti. Ma ciò non è ancora avvenuto. Il Miur, per questioni economiche, ha drasticamente ridotto il numero dei posti per quelli che saranno gli psichiatri del domani, una decisione in contraddizione con l’aumento della diffusione delle patologie psichiatriche. Al tempo stesso, però, fortunatamente le Società Scientifiche stanno facendo uno sforzo enorme per poter migliorare ed ammodernare gli strumenti di formazione e preparare gli psichiatri del futuro ad affrontare al meglio queste nuove sfide. Accanto a quelle di cui abbiamo già discusso ce ne sono altre due che richiedono un’adeguata preparazione: il trattamento psichiatrico nelle carceri e quello per gli immigrati».
Ogni cambiamento richiede un periodo di assestamento. Quanto tempo crede sia necessario per mettersi al passo con queste trasformazioni?
«L’ammodernamento non solo degli specialisti ma di tutta la rete assistenziale potrà avvenire nei prossimi 5-6 anni».