Il Professore di Igiene e Salute Pubblica alla Biccoca di Milano crede nella possibilità di ridurre le ospedalizzazioni: «Abbiamo tecnologie informatiche, dispositivi e farmaci che sono più sicuri rispetto al passato, che sono più maneggevoli e permettono di gestire il paziente al di fuori dell’ospedale»
L’Italia non è un paese di giovani. I dati sull’invecchiamento della popolazione sono emblematici: l’Italia è il secondo Paese al mondo, dopo il Giappone, per percentuale di anziani, con 13,8 milioni di persone over 65, ovvero il 22,8% della popolazione totale, e detiene il record europeo, con la Francia, per presenza di ultracentenari. Uno scenario che per forza di cose è destinato a ripercuotersi sul mondo sanitario, con un forte aumento di pazienti cronici e con multimorbilità. Se n’è parlato al convegno “Presa in carico assistenziale e terapeutica del paziente anziano”, promosso da Onda – Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere e Daiichi Sankyo Italia.
«La vera sfida dei prossimi anni sarà la gestione integrata e interdisciplinare delle malattie croniche dell’anziano» sottolinea Lorenzo Mantovani, Professore associato di Igiene e Salute Pubblica, Università Biccoca di Milano, secondo il quale una delle ricette è quella di limitare le ospedalizzazioni: «Si può fare perché abbiamo tecnologie informatiche, dispositivi e farmaci che sono più sicuri rispetto al passato, che sono più maneggevoli, che permettono di gestire il paziente al di fuori dell’ospedale».
LEGGI ANCHE: TERAPIE PIU’ SICURE, NUOVE TECNOLOGIE E SUPPORTO AI CAREGIVER PER MIGLIORARE LA QUALITA’ DI VITA DEGLI ANZIANI
I dati sono noti, l’Italia è uno dei paesi più vecchi del mondo, quindi la grande sfida della sanità italiana è affrontare questo invecchiamento. Il nostro sistema sanitario è pronto per questa sfida?
«Se non è ancora pronto lo deve diventare molto rapidamente. Il mondo ci sta guardando. Ci sono due paesi che hanno avuto il baby boom dopo la Seconda guerra mondiale e che hanno il più alto numero di ultraottantenni. L’Italia è fra i cinque paesi con la più elevata aspettativa di vita alla nascita insieme a Svezia, Svizzera, Spagna e Giappone. Solo che Italia e Giappone hanno avuto la ripopolazione della nazione subito dopo la Seconda guerra mondiale, mentre Svizzera e Spagna non hanno fatto la Seconda guerra mondiale e la Svezia non ha avuto lo stesso numero di morti che abbiamo avuto noi. Quindi abbiamo una popolazione che non solo si attende di vivere a lungo ma con fasce di popolazione anziana molto più numerose proporzionalmente rispetto ad altri paesi. Il nostro sistema sanitario si sta cominciando ad adattare, sta cominciando a prendere atto del fatto che gli ultra 65anni, ma soprattutto gli ultranovantenni, non sono persone che hanno solamente una malattia cronica ma normalmente di malattie croniche ne hanno diverse. Il modo di gestire due, quattro, cinque malattie croniche in una stessa persona non è il modo di gestire una malattia cronica in una persona. Quindi il paradigma che abbiamo fin qui avuto che è quello dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali che va bene per morbilità singole, va bene per le acuzie, ma per il contesto della multimorbilità è destinato a fallire e a essere soppiantato da un nuovo paradigma che è quello della gestione integrata dei pazienti».
Un tema è quello di ridurre le ospedalizzazioni che poi incidono di più sul sistema sanitario. Ma si può ottenere una presa in carico adeguata riducendo le ospedalizzazioni?
«Si perché abbiamo tecnologie informatiche, dispositivi e farmaci che sono più sicuri rispetto al passato, che sono più maneggevoli, che permettono di gestire il paziente al di fuori dell’ospedale con la sua combinazione di malattie croniche e di fragilità in maniera molto migliore rispetto alle tecnologie che avevamo solamente 10 anni fa, sia farmaci, sia dispositivi, sia app».