Iniziano ad arrivare le prime conseguenze del ritardo diagnostico causato dalla sospensione di visite e screening. De Lorenzo (Favo): «Per la prima volta dopo quasi 30 anni, rischiamo aumento morti di cancro». Crisanti sui positivi per mesi: «Forse virus nella mucosa»
È ufficiale, i casi di tumore rilevati in questi mesi del 2020 sono in stadio più avanzato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A sottolineare questa attuale e futura difficoltà gestionale è stato il dottor Carmine Pinto, presidente Ficog (Federation of Italian cooperative oncology groups) e direttore del dipartimento di Oncologia dell’IRCCS di Reggio Emilia durante il webinar organizzato da Ficog e Aiom “L’evoluzione e le strategie della ricerca oncologica in Italia dopo l’emergenza Covid-19”.
Anche ora che le visite e gli screening sono ripartiti, ha riferito, a causa delle misure di sicurezza e sanificazione necessarie per Covid-19, non si riescono a mantenere i ritmi di prima. Il numero di pazienti esaminabili ogni giorno è inferiore e, finché saranno in vigore le misure, non potrà essere diversamente.
Pinto ha però ribadito che chi sta seguendo un trattamento oncologico – chemioterapia, immunoterapia o altro – non corre un maggior rischio di decesso per Covid-19, secondo i dati finora ottenuti. «Tra i 1200 pazienti ricoverati per coronavirus nel nostro ospedale – ha illustrato durante il webinar – erano 138 quelli oncologici. Non abbiamo rilevato differenze per livelli di alterazioni radiologiche o altro. Il 73,5% di chi aveva il cancro era survivor. Anche in quella categoria i fattori di rischio sono gli stessi: anziani, maschi, fumatori e con presenza di comorbidità».
Sugli stessi dati si è trovato concorde anche Andrea Crisanti, professore di microbiologia e virologia all’Università di Padova. «Non c’è un dato che dica che la propensione del paziente oncologico è maggiore. Generalmente i pazienti con linfoma tendono ad avere un esito peggiore rispetto agli altri pazienti oncologici, ma questo è l’unico dato rilevabile».
Il dottore ha puntato invece i riflettori su casi di Covid, tra cui a volte rientrano anche i pazienti oncologici, che rappresentano ancora un mistero per i professionisti della sanità. «Ci sono alcuni pazienti – ha illustrato – che hanno un’infezione pauci-sintomatica, di cui risolvono le manifestazioni ma che rimangono positivi per mesi. Sono prevalentemente giovani, ma l’età non sembra essere un fattore. Calcolerei tra l’1 e il 2% dei casi nella popolazione totale». Questi soggetti «non possono essere dimessi finché non diventano negativi» e trascorrono mesi e mesi in ospedale, separati dagli altri, in molti casi sospendendo le terapie se non immediatamente necessarie.
«Non riusciamo a capirne la ragione – ha insistito l’esperto –. Dai loro tamponi proviamo a isolare il virus, ma di solito si tratta di positività molto basse e poco infettive. Stiamo verificando se questi pazienti abbiano integrato dei pezzi di virus nella mucosa». Per Crisanti questo si riverbera anche sui reparti oncologici. Prima che un paziente sia ammesso, indipendentemente dalla sintomatologia, per l’esperto dovrebbe essere sottoposto al tampone.
«Una serie di ritardi negli screening porterà per la prima volta dal 1993 a un aumento dei morti di cancro nel 2021/22», ha aggiunto Francesco De Lorenzo, presidente Favo (Federazione delle associazioni di volontariato). «Oggi bisogna garantire al malato un percorso ospedaliero e territoriale che gli dia fiducia, non si deve temere il Covid più del volere il trattamento contro il cancro».
Per Ruggero De Maria, presidente Acc (Alleanza contro il cancro), ciò che il virus ci ha obbligati a realizzare va portato nelle prossime fasi. La telemedicina e l’assistenza domiciliare sono i più grandi successi di questo distanziamento forzato. «Abbiamo affrontato l’emergenza come tutti – ha aggiunto –. Appelli per più tamponi, raccolta di dati da rendere interoperabili. Fare in modo che tutti i dati siano messi a disposizione di tutti. Avere la capacità di distinguere, integrare e anche di stabilire quali possono essere i farmaci da utilizzare». «Spostarsi meno può voler dire lavorare meglio in un percorso di rete e magari portare più pazienti alla ricerca», ha ricordato Giordano Beretta, presidente Aiom.
L’indagine Ficog portata avanti tra 52 diversi centri italiani, ha rilevato che durante i mesi di emergenza gli studi clinici hanno mostrato un calo del 46%. I comitati etici hanno invece continuato a muoversi nel 92% dei casi, spesso in modalità telematica. Secondo il 65% dei ricercatori bisogna cambiare le modalità di informazione e comunicazione ai pazienti coinvolti negli studi clinici, mentre il 77% teme la migrazione dei pazienti verso altre regioni.
I pazienti oncologici devono rimanere vigili e così i loro medici durante l’emergenza creata dalla pandemia, che non sarà totalmente finita fino al vaccino. Un vaccino che, per Crisanti, non bisogna affrettare pena un funzionamento ridotto e non del tutto sicuro.
A chi lotta contro il cancro, tra gli altri, va la raccomandazione del professore: «È necessario fare il vaccino per l’influenza, che contribuirà a eliminare tutte le situazioni di incertezza. Se in autunno e in inverno avremo dei falsi allarmi e nuovi casi, questo potrebbe mettere a dura prova il sistema».