Un finanziamento di 10 milioni per il Piano Oncologico Nazionale. FAVO: «E’ un inizio: ora accreditamento del volontariato per nuovi modelli di governance delle reti oncologiche»
Una sinergia storica, da implementare e riorganizzare, per rispondere sempre meglio a bisogni e istanze dei pazienti oncologici. Parliamo dell’alleanza tra associazioni di pazienti e istituzioni, legislative e sanitarie, protagoniste oggi dell’incontro intitolato “Il nuovo ruolo delle associazioni di volontariato nelle Reti oncologiche” tenutosi presso la sede di Agenas, che ha istituito al suo interno un Osservatorio per il monitoraggio delle Reti Oncologiche regionali. Un importante momento di confronto per discutere del nuovo ruolo di pazienti e associazioni nell’ambito delle attività delle Reti Oncologiche, e per porre l’accento sulla sempre maggiore capacità delle associazioni di intercettare le reali esigenze quotidiane dei pazienti, determinando un contributo essenziale nell’indirizzare una presa in carico sempre più efficace.
«L’impegno della nostra agenzia è di andare verso un modello di governance che integri sempre più il sociale con il sanitario – esordisce Enrico Coscioni, presidente Agenas – e che superi le differenze ancora presenti tra Regione e Regione nella presa in carico oncologica. In tal senso, le associazioni di volontariato svolgono un ruolo fondamentale, che ci aiuta anche nel far fronte ad alcune criticità che caratterizzano il nostro sistema sanitario». E il finanziamento di 10 milioni varato per il Piano Oncologico Nazionale non può che essere un buon inizio. «Sicuramente è un segnale che dimostra sensibilità da parte delle istituzioni, ma non una panacea per tutti i problemi dell’oncologia italiana – afferma Elisabetta Iannelli, segretario generale FAVO (Federazioni Associazioni di Volontariato Oncologiche) -. Il riconoscimento e l’accreditamento del volontariato in ambito oncologico permetterebbe di garantire quella omogeneità di organizzazione che si traduce in una maggiore assistenza, e di maggior qualità per i pazienti, indipendentemente dalla regione di provenienza».
«Siamo l’unica associazione di pazienti in Italia e in Europa che si occupa di gastroresecati oncologici, di chi vive quindi senza stomaco – esordisce Claudia Santangelo, presidente dell’associazione Vivere senza stomaco si può -. Il tumore allo stomaco – continua Santangelo – è associato ad una altissima mortalità, motivo per cui chiediamo una maggiore possibilità di accesso alla diagnosi precoce, che cominci dal medico di famiglia: una maggiore attenzione sull’eradicazione dell’Helicobacter Pylori, strettamente legato all’insorgenza della malattia, potersi sottoporre a gastroscopia dopo un certo numero di cicli di antiacido, ma soprattutto la possibilità di effettuare test genetici in caso di forte ereditarietà familiare: significa dare ai componenti di una famiglia maggiori possibilità di scelta e di intervento. Il coinvolgimento precoce del paziente è fondamentale, così come avere un ruolo maggiore nei processi di cura e la possibilità di essere debitamente informati. Sul medio-lungo periodo, dopo 4/5 anni, i pazienti gastroresecati tendono ad essere “trascurati”, ed invece la stragrande maggioranza continua ad avere disturbi, uno fra tanti lo scompenso glicemico. Proprio i pazienti, con le loro esperienze, possono portare alla luce dati ed evidenze che alla ricerca possono sfuggire».
«Da 10 anni – spiega Roberto Mazza, commissario tecnico scientifico della Federazione di Associazioni di pazienti denominata “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” – la nostra associazione porta avanti un progetto di advocacy politico-istituzionale, su cui si sono consorziate circa 50 associazioni oncologiche, permettendoci di avere una presenza forte e trasversale in parlamento. È stato appena approvato – continua – un documento sui bisogni del paziente oncologico, firmato da più di 200 deputati su 400: un tema che non conosce distinzioni di partiti e bandiere. Inoltre, siamo lieti del fatto che la nuova legislatura abbia ripreso due questioni della precedente legislatura, che temevamo cadessero nel vuoto: il primo sull’aumento del periodo di comporto per il paziente oncologico, e il secondo sul diritto all’oblio».
«Negli anni la nostra associazione si è occupata di sensibilizzazione e prevenzione oncologica, di supporto a pazienti e caregiver, ma oggi siamo attivi anche sulla formazione – interviene Adriana Bonifacino, presidente della Fondazione IncontraDonna, responsabile Senologia Clinica e Diagnostica IDI – IRCCS Roma -. Riteniamo la co-progettualità e la presenza delle associazioni ai tavoli istituzionali un fattore fondamentale, e siamo pronti a collaborare con le istituzioni nella costruzione di un sistema salute che risponda efficacemente alle reali esigenze dei pazienti». «Le associazioni di pazienti sono storicamente legate alle istituzioni sanitarie – aggiunge il prof. Giampaolo Tortora, Direttore di Oncologia Medico presso il Policlinico Gemelli di Roma – e contribuiscono a sostenere, anche economicamente, le strutture di accoglienza. Per qualche periodo le associazioni sono state fraintese, viste come realtà impegnate più in attività di recriminazione che di miglioramento. Niente di più sbagliato: c’è una grande alleanza tra medici e associazioni, un mutuo sostegno e soccorso, la possibilità di sondare esigenze e criticità da due diverse angolazioni, compagni di viaggio per stabilire sinergie fruttuose tra istituzioni, mondo sanitario e pazienti. Una cittadinanza formata e informata – conclude – è alla base della costruzione dell’offerta di salute».
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