Il Presidente della Federazione CIMO-FESMED plaude all’iniziativa annunciata dal ministro della Salute Roberto Speranza
«625 milioni sono una boccata d’ossigeno per la sanità meridionale. Risorse necessarie per compensare gli scarsi finanziamenti degli anni passati che hanno contribuito a marcare in modo ancora più profondo la distanza tra il Nord ed il Sud. Il Programma nazionale per l’equità nella salute annunciato dal Ministro Roberto Speranza è dunque un’ottima notizia, purché le risorse siano allocate in modo appropriato e severamente controllato. Incrementare gli screening oncologici, contrastare la povertà sanitaria, rafforzare i dipartimenti di salute mentale, promuovere la medicina di genere e aumentare il numero dei consultori sono senz’altro obiettivi ambiziosi che contribuiranno a migliorare la prevenzione e l’assistenza sanitaria, incidendo sullo stato di salute della popolazione». È quanto afferma Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED.
«Un progetto – prosegue – che deve essere strettamente collegato agli obiettivi del PNRR e al rafforzamento, quindi, della sanità territoriale. Una sanità che ruoti intorno agli studi dei medici di famiglia, ai nuovi ospedali e case di comunità e, soprattutto, che sia in stretto collegamento ed integrazione con gli ospedali. Medici di famiglia che, come rimarcato da Speranza, devono conservare l’attuale stato giuridico per garantire il rapporto fiduciario con i pazienti; case e ospedali di comunità che tuttavia devono essere allocate sulla base dei reali bisogni assistenziali della popolazione e non seguendo logiche “campanilistiche” o elettorali. Senza dimenticare – specifica Quici – la necessità di rivedere gli assetti strutturali di alcuni territori, senza i quali queste nuove strutture rischiano di rimanere cattedrali nel deserto: in certe aree del Paese vanno rivisti trasporti e viabilità, infrastrutture e digitalizzazione, cui sono dedicati finanziamenti di altre Missioni del PNRR».
E proprio su quest’ultimo aspetto Quici evidenzia alcuni dati: «Ricordiamo che il Digital Economy and Society Index, che misura le performance digitali dei Paesi europei, pone l’Italia al 20° posto su 27 Stati membri. Che l’uso dei fascicoli sanitari elettronici da parte dei cittadini e degli operatori sanitari rimane disomogeneo su base regionale. Che lo stesso accesso alla banda larga è di gran lunga inferiore alla media europea e che le diseguaglianze sociali e culturali continuano ad essere profonde tra le Regioni. La sanità digitale rappresenta dunque sicuramente il futuro, ma se non si interviene anche su questi aspetti sarà difficile riuscire ad espletarne gli effetti».
«Ogni intervento volto a ridurre tali diseguaglianze, che hanno inevitabilmente conseguenze anche sullo stato di salute dei cittadini, è da incentivare e sostenere con forza. Si tratta di una sfida complessa, ma non più rinviabile», conclude.
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