L’Oms: “Le pillole di iodio, se assunte al dosaggio appropriato ed entro il corretto intervallo di tempo rispetto all’esposizione, saturano la ghiandola tiroidea con iodio stabile e di conseguenza lo iodio radioattivo non verrà assorbito e immagazzinato”
In Danimarca è scattata la corsa alle pillole di iodio, farmaci che dovrebbero avere effetti protettivi in caso di esposizione a radiazioni e dunque anche in caso di attacco nucleare. Lo iodio infatti ridurrebbe gli effetti negativi sulla tiroide, uno degli organi più a rischio di sviluppare tumori e malformazioni a seguito di esposizione ad alti livelli di radiazioni. L’assalto agli acquisti è scattato dopo che l’agenzia nazionale per la gestione delle emergenze ha pubblicato una serie di consigli su come proteggersi da un’eventuale emergenza nucleare. La regola numero uno, condivisa da tutti gli esperti è “no al fai-da-te”.
Anche l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), di recente, ha pubblicato sul suo portale un focus dedicato all’argomento. “Durante un incidente nucleare – spiega l’Oms – può essere rilasciato nell’ambiente iodio radioattivo sotto forma di pennacchi o nubi e successivamente contaminare suolo, superfici, cibo e acqua. Potrebbe depositarsi sulla pelle e sugli indumenti, provocando un’esposizione esterna alle radiazioni. Se viene inalato o ingerito, provoca un’esposizione interna alle radiazioni”. Quando lo iodio radioattivo entra nell’organismo, “si accumula nella ghiandola tiroidea nello stesso modo in cui farebbe lo iodio stabile non radioattivo”, perché questa ghiandola che usa lo iodio per produrre ormoni non distingue tra iodio radioattivo e iodio stabile. Assorbire iodio radioattivo “può aumentare il rischio di cancro alla tiroide in particolare nei bambini”, si legge nel focus dell’Oms.
E come si riduce il rischio di esposizione? “La ghiandola tiroidea può essere protetta dallo iodio radioattivo saturandola con iodio stabile (non radioattivo). Questa misura protettiva nota come ‘blocco tiroideo con iodio stabile’ consiste nella somministrazione di compresse di ioduro di potassio (KI) prima o all’inizio dell’esposizione allo iodio radioattivo. Se assunto al dosaggio appropriato ed entro il corretto intervallo di tempo rispetto all’esposizione, il KI satura la ghiandola tiroidea con iodio stabile e, di conseguenza, lo iodio radioattivo non verrà assorbito e immagazzinato”. Ma è questo un antidoto alle radiazioni? “No – risponde l’Oms nel focus – Il KI non è un antidoto per l’esposizione alle radiazioni. Protegge solo la ghiandola tiroidea e solo se esiste il rischio di esposizione interna allo iodio radioattivo (ad esempio, un incidente in una centrale nucleare)”. Ma “non protegge da altre sostanze radioattive che potrebbero essere rilasciate nell’ambiente a seguito di incidente nucleare. Non protegge dalle radiazioni esterne e non impedisce allo iodio radioattivo di entrare nell’organismo, ma ne impedisce solo l’accumulo nella tiroide”.
Il KI, puntualizza ancora l’Oms, “non dovrebbe essere preso come misura protettiva generica in previsione di un evento. Le compresse devono essere assunte solo quando esplicitamente indicato dalle autorità sanitarie pubbliche. L’efficacia per il blocco della tiroide dipende dalla tempestiva somministrazione. Il periodo ottimale di somministrazione di iodio stabile è inferiore a 24 ore prima e fino a due ore dopo l’inizio previsto dell’esposizione. Sarebbe comunque ragionevole assumere il KI fino a otto ore dopo l’esposizione. Tuttavia, assumerlo dopo 24 ore dall’esposizione non offrirà alcuna protezione“. La dose corretta varia in base all’età e una singola dose solitamente offre protezione adeguata per 24 ore. Insomma, l’utilizzo deve essere guidato e mirato, non è la panacea di tutti i mali e per questo gli esperti sconsigliano il fai-da-te.
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