La pizzeria inclusiva e sostenibile è stata inaugurata lo scorso dicembre a Bergamo. A supportare l’inserimento lavorativo è stata CoorDown con il programma Hiring Chain, la piattaforma online per assunzioni e tirocini dedicata a giovani e adulti con sindrome di Down
Si scrive “Pit’sa” e si legge “Pizza”: è questo il nome di una nuova impresa inclusiva e sostenibile che mostra, in una sola parola, come l’apparenza possa facilmente ingannare. «La scelta del nome non è stata casuale – racconta Giovanni Nicolussi, founder della pizzeria -. Il nostro è un invito ad andare oltre ciò che è immediatamente visibile agli occhi: chi legge l’insegna del nostro locale non comprende subito di trovarsi davanti ad una pizzeria, lo intuisce solo dopo averne pronunciato il nome a voce alta. Allo stesso modo, vorremmo che i nostri clienti non si fermasse all’aspetto esteriore dei nostri camerieri, tutti giovani con sindrome di down, ma che osservassero con attenzione le loro capacità, qualità e competenze»
Lo staff di Pit’sa, una pizzeria inaugurata lo scorso dicembre a Bergamo, è composto da sette giovani con sindrome di Down: ragazzi e ragazze servono pizze realizzate con materie prime sostenibili e di origine vegetale, ottenute da agricoltura genuina e non da allevamenti intensivi, senza sfruttare gli animali. «Sono state le esperienze che ho vissuto personalmente ad ispirare la nascita di questa impresa – racconta Giovanni -. Prima una vita trascorsa accanto ad un fratello con disabilità, che mi ha guidato verso la scelta di assumere persone con sindrome di Down. Poi, la malattia di mia madre che, costringendola ad un’alimentazione priva di alimenti di origine animale, mi ha stimolato alla creazione di un menù 100% vegetale».
L’idea di Pit’sa è stata supportata da CoorDown che, con il programma Hiring Chain, ha già creato l’opportunità di numerose assunzioni e tirocini per giovani e adulti con sindrome di Down, in Italia e nel mondo. La campagna globale “The Hiring Chain” è stata lanciata da CoorDown per la Giornata mondiale sulla sindrome di Down del 2021. In meno di due anni ha avuto oltre 6 milioni di visualizzazioni. Sono 70 mila le persone che hanno visitato la piattaforma e circa mille aziende da tutto il mondo hanno contattato CoorDown per chiedere informazioni o con l’intenzione di assumere una persona con la sindrome di Down.
«Con il sostegno di CoorDown ho selezionato e formato il mio staff – racconta Giovanni -. Hanno tutti mostrato grande impegno fin dal primo giorno di formazione e, a distanza di solti due mesi dall’apertura del locale, molti di loro sono già pronti ad apprendere nuove mansioni». Il founder di Pit’sa non vuole offrire semplicemente un’opportunità lavorativa, ma anche una possibilità di carriera: «Il primo corso di formazione ha permesso a questi ragazzi di imparare ad organizzare e gestire il lavoro in sala, successivamente – spiega Giovanni – ne organizzeremo altri per prepararli a stare dietro ad una bancone, per poi istruirli anche sulle mansioni della cucina. Ovviamente, nel rispetto delle loro peculiarità e inclinazioni: c’è chi è più abile ad interagire con i clienti, chi preferisce parlare meno ed agire di più».
Tra i sette giovani dello staff c’è Paolo, un gran chiacchierone: «Venire a lavoro da solo, con il pullman, mi consente di essere autonomo. Mi piace arrivare al ristorante, mettermi la divisa, servire ai tavoli e parlare con i clienti», racconta. Paolo è felice della sua vita ed anche del futuro che lo attende: «Ha mostrato grande impegno sin dal primo giorno – assicura il titolare dell’impresa -. È un ragazzo dalle grandi capacità, tanto che gli è stato già affidato anche il compito di affiancare una ragazza, Federica, durante il suo inserimento lavorativo».
La squadra di Pit’sa è già diventata una grande famiglia. «Vogliamo non solo essere inclusivi, ma anche valorizzare le diversità. Vogliamo che le persone con sindrome di Down possano costruire qui il loro futuro. Intendiamo sostenere le loro famiglie, soprattutto i genitori che con il passare degli anni vedono avvicinarsi il giorno in cui non potranno più occuparsi dei loro figli. E vogliamo – conclude Giovanni Nicolussi – che quando quel giorno arriverà questi ragazzi e queste ragazze siano diventati uomini e donne autonomi, in grado di provvedere a se stessi».
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