A Castel Sant’Elia l’ultima planking challenge. Ma se le challenges sono una moda del momento non è nella società contemporanea che dobbiamo ricercarne le radici, Andronico (psicoterapeuta): «Fin dalle comunità tribali gli individui hanno dovuto sottoporsi a riti di iniziazione per essere ammessi all’interno di un determinato gruppo sociale»
Sdraiati al centro della carreggiata, attendono l’arrivo delle auto, per poi sottrarsi (si spera) un attimo prima che avvenga l’impatto. Si chiama planking ed è l’ultima moda tra le challenges. Già virale su Tik Tok, con video provenienti da diverse parti del mondo è, ora, anche in Italia, il terrore di non pochi genitori con figli adolescenti. È di pochi giorni fa, infatti, la notizia che a Castel Sant’Elia, in provincia di Viterbo, un gruppo di minorenni ha sfidato la sorte proprio cimentandosi in questa prova tanto pericolosa, quanto assurda.
«Al di là di questa esperienza specifica, negli ultimi tempi abbiamo assistito ad una crescita esponenziale delle challenges, la maggior parte delle quali estremamente pericolose per la salute e l’incolumità dei giovani che vi si cimentano», spiega Francesca Andronico, psicologa e psicoterapeuta responsabile di un centro terapeutico per l’età evolutiva. Tuttavia, se le challenges sono una moda del momento non è nella società contemporanea che dobbiamo ricercarne le radici. «Fin dalle comunità tribali gli individui hanno dovuto sottoporsi a riti di iniziazione per essere ammessi all’interno di un determinato gruppo sociale. Proprio come accadeva tra i primitivi, anche oggi uomini e donne devono superare delle prove per essere accettati nel gruppo dei pari, sin dai primi anni dell’adolescenza», aggiunge Andronico.
Ovviamente, tra ieri ed oggi è l’avvento delle nuove tecnologie a fare la differenza. «Se prima ogni comunità aveva il suo specifico rito di iniziazione, difficilmente condivisibile con altri gruppi sociali, ora, attraverso i social network, o più in generale grazie alla rete internet, ogni esperienza può essere mostrata ovunque e in tempo reale». Ma il leitmotiv che spinge il singolo individuo, a prescindere dal luogo e dall’epoca in cui si trova, è sempre è sempre lo stesso: “Se non lo fai anche tu, non sei dei nostri!”. Ed è questo stesso principio, unito alla viralità che la planking challenge ha acquisito negli ultimi mesi che, con molta probabilità, ha spinto i giovani viterbesi a sdraiarsi su quella strada, la stessa dove in passato, aveva già perso la vita un altro pedone.
La planking challenge, come qualsiasi altra challenge che mette a rischio la vita di chi la compie, è uno strumento utilizzato per sfidare i propri limiti in un’età in cui si è inevitabilmente attratti dalla trasgressione. Risale agli anni ’70 un’importante teoria sulla motivazione che spinge gli adolescenti a sviluppare comportamenti a rischio: si chiama “Teoria dei Comportamenti Problematici (Problem Behaviour Theory di Jessor e Jessor) e si basa sul concetto che personalità, convinzioni e comportamenti che ricevono l’approvazione di altre persone si ritengono determinanti per la percezione del rischio. In altre parole, questa teoria dimostrerebbe come gli adolescenti sviluppano condotte pericolose e rischiose con maggior frequenza rispetto a soggetti di altre fasce di età proprio al fine di dimostrare che sono adulti.
«L’adolescenza è a tutti gli effetti un periodo di transizione in cui ci si lascia alle spalle l’età infantile e, contemporaneamente, ci si proietta in quella adulta – commenta la psicoterapeuta -. Si tratta di un passaggio che per quanto differente da individuo a individuo, per nessuno appare lineare. Non solo si cerca una propria identità, ma contemporaneamente è necessario fare i conti con un corpo che cambia. L’adolescente, dunque, ricerca comportamenti a rischio per sperimentarsi, crescere, forgiare la sua personalità. Ed è quindi più facile, quasi fisiologico, che finisca per ficcarsi in situazioni che mettono più o meno in pericolo la sua incolumità. Ma se da un lato dobbiamo lasciare che si esprima, proprio per non limitare il suo sviluppo, dall’altro dobbiamo fornirgli, famiglia e scuola in primis, quegli strumenti che gli consentano di capire che nessuna società e nessun gruppo che possa essere definito civile – conclude Andronico – può chiedergli una prova tanto pericolosa da mettere a rischio la sua stessa vita, come la planking challenge».
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