Salute 19 Luglio 2021 12:07

PMA, all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo un progetto sperimentale di telemedicina

Meno figli e in età più avanzata, SIRU lancia l’allarme e promuove il lavoro dei centri di procreazione medica assistita. Fusi (responsabile del Centro di Fisiopatologia della Riproduzione) «Sono circa 1500 le coppie che ogni anno si seguono percorsi di cura per infertilità, prevenzione e procreazione assistita»

di Federica Bosco
PMA, all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo un progetto sperimentale di telemedicina

Sempre più famiglie scelgono di non avere figli. In Italia oggi prevalgono i nuclei con un solo bambino (circa 6,2 milioni pari al 36% del totale delle famiglie italiane) seguite dai nuclei senza figli (il 32%), mentre i nuclei con tre o più figli sono circa un milione e in costante calo. A lanciare l’allarme è la SIRU (Società Italiana di Riproduzione Umana) secondo cui ad aggravare la situazione già fragile per incertezza economica e lavorativa, negli ultimi diciotto mesi ha contribuito anche la pandemia. E così il Covid, se in un primo momento sembrava aver fatto da volano per il desiderio di maternità, ha poi causato un’inversione di tendenza con un crollo di casi anche nella procreazione medicalmente assistita. Per correre ai ripari, i centri di PMA hanno scelto di non interrompere l’attività e di stare vicini ai pazienti con nuovi strumenti tecnologici.

Smart PMA, con la telemedicina vicini alle pazienti anche durante la pandemia

A Bergamo l’Ospedale Papa Giovanni XXIII, uno dei più colpiti dalla pandemia, ha attivato un progetto sperimentale di telemedicina chiamato Smart PMA. «In questo modo non abbiamo mai lasciato sole le nostre coppie – racconta Francesco Fusi, responsabile del Centro di Fisiopatologia della Riproduzione del Papa Giovanni XXIII -. Allo scoppio della pandemia il sentimento prevalente era la paura, con la seconda ondata è subentrata la rabbia per non poter proseguire le cure e i trattamenti per portare a compimento la gravidanza. Allora abbiamo pensato di creare una piattaforma di telemedicina per tenere sempre vivo il dialogo e il legame con i nostri pazienti».

Una scelta che ha permesso di mantenere operativi i laboratori e in linea il numero dei casi seguiti ogni anno dal dottor Fusi e dalla sua équipe. Sono circa 1500 le coppie che ogni anno seguono percorsi di cura per infertilità, di prevenzione e di procreazione assistita. «Siamo un centro di terzo livello, facciamo le inseminazioni intrauterine come le fecondazioni in vitro con la tecnica Fivet e Icsi ed il prelievo testicolare degli spermatozoi in caso di azoospermia – spiega il dottor Fusi -. Quando facciamo la fecondazione in vitro cerchiamo di congelare ovociti o embrioni in modo tale che si possano avere più possibilità per un secondo o terzo figlio facendo una sola stimolazione dell’ovulazione».

Nei laboratori il miracolo della vita con le tecniche Icsi e Fivet

In un laboratorio asettico avviene la crioconservazione degli spermatozoi sotto azoto liquido a una temperatura di – 196° che possono rimanere congelati, con le nuove tecniche, anche per 20 anni, mentre una volta avviate le procedure la tempistica di conservazione è di circa un’ora.

In un secondo ambiente, attiguo alle sale operatorie dove viene eseguito il prelievo ovocitario, si effettua l’inseminazione con le due tecniche Icsi e Fivet. Un incubatore permette poi di monitorare in tempo reale cosa accade agli ovociti inseminati. Le due tecniche sono differenti. «L’Icsi (iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo) è una tecnica che prevede l’inseminazione di un ovocita tramite la micro-iniezione di un singolo spermatozoo direttamente al suo interno – spiegano le dottoresse che operano nei laboratori –. L’ovocita e lo spermatozoo si incontrano all’esterno del corpo della donna, quindi la fecondazione avviene “in provetta”. Con la Fivet l’incontro tra l’ovocita, mediante aspirazione transvaginale del liquido follicolare, e gli spermatozoi avviene in vitro. Gli embrioni ottenuti a seguito della fecondazione ovocitaria vengono poi trasferiti nella cavità uterina dopo 2, 3, 5 giorni dal prelievo».

Preservazione della fertilità per i pazienti oncologici

Oltre all’infertilità l’equipe del dottor Fusi si occupa di prevenzione e di preservazione della fertilità nei pazienti che hanno problematiche oncologiche. «In un primo momento erano soprattutto donne con patologie oncoematologiche, oggi invece la prevalenza è quella delle ragazze giovani con tumore al seno che quindi hanno una previsione di vita abbastanza lunga che però vedono bloccata la possibilità di riproduzione per diversi anni».

 

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